Lapidario, chiarissimo, essenziale. Giancarlo Giorgetti alla fine parla ed è un cataclisma. Lasciando il Senato dove ha presenziato, “molto amareggiato” secondo chi lo ha avuto vicino durante la giornata, alla discussione e alla votazione della legge di bilancio, il titolare del Mef sgancia tre bombe sulla ostentata calma della maggioranza. La prima: “Il ministro dell’Economia e finanze aveva interesse che il Mes fosse approvato per motivazioni di tipo economico-finanziarie”. Interessante qui l’uso della terza persona. La seconda: “Per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni, giurì d’onore (chiesto dai 5 Stelle per la premier Meloni, ndr) e roba del genere, mi è sembrato evidente che non fosse aria di approvazione, per motivazioni non solo economiche”. La terza: è chiaro che in questi mesi, almeno dall’estate quando le trattative su Patto di stabilità e crescita e contestualmente sul Mes sono arrivate alla stretta finale, il ministro è andato a trattare ai tavoli economici a Bruxelles sapendo di essere solo, di non avere alle spalle il suo partito e, tutto sommato, poco anche la premier.

Giorgetti, il No al mes per ideologia e le dimissioni (rinviate?)

Le parole di Giorgetti dicono non solo che l’approvazione del Mes era necessaria e conveniente. Aggiungono che se questo non è avvenuto è stato per motivazioni ideologiche e non tecniche. Le parole di Giorgetti dicono anche che la maggioranza e il governo sono meno saldi di quello che vogliono far pensare. Le opposizioni ne chiedono le dimissioni: un ministro “dimezzato”, “umiliato” in casa e in Europa, “inaffidabile”, “incapace” “ostaggio del populismo”. Il titolare del Mef ci ha voluto mettere una punta di sarcasmo: “Con tutto il rispetto delle opposizioni le cui osservazioni spesso sono utili, decido da solo se e quando dimettermi”. Non è oggi, quel momento, perché “io faccio il mio mestiere e ora c’è da portare a casa la manovra, la prossima settimana, saremo alla Camera. A quel punto avremo la nostra legge di bilancio come l’ha voluta e concepita il governo”. A quel punto, a lavoro finito, si vedrà il dà farsi.

Giorgetti, il “tecnico” in quota Lega: il silenzio di Meloni e Salvini

Diciamo subito che Giorgetti è uno che se non vuole parlare sa benissimo come fare. Conosce i palazzi della politica come le sue tasche e sa come evitare i cronisti. Dunque Giorgetti ha voluto dire la sua. Visto il silenzio abbastanza clamoroso dei suoi principali “datori di lavori”: la premier Meloni che si è affidata ad indiscrezioni che dicono molto poco e nulla di ufficiale; Matteo Salvini, il segretario del suo partito, la Lega, dove Giorgetti milita dai tempi di Bossi, ben prima che arrivasse il Capitano. Tra i due non c’è mai stato feeling, caratteri diversi, come la visione e la postura politica. Non a caso si è sempre detto che Giorgetti fosse entrato nel governo come “tecnico” più che in quota di partito. Indicato dallo stesso Mario Draghi che aveva in lui e nel ministro Franco i due operativi più fidati su conti e strategie. Il ministro poi ha provato a sdrammatizzare la situazione. “Nessuno strappo con l’Europa, sapevano che c’erano problemi e poi anche loro non sempre fanno tutto giusto”. Ed è stato anche più positivo rispetto al Patto di stabilità. “Leggetelo bene – ha detto – ci sono cose positive, ad esempio si sono resi conto che la Difesa è un costo necessario e quindi siamo riusciti a scomputarlo. Tutto si può modificare. Anche il Mes”.

Legge bilancio, le critiche dell’opposizione: “Mancano 18 miliardi”

Intanto ora l’obiettivo è portare a casa la legge di bilancio, “rigorosa, seria, con cui abbiamo voluto pensare alle famiglie più povere messe in ginocchio dall’inflazione”. Il Superbonus è stata e resta una sciagura. La proroga, richiesta da Forza Italia e non solo, non è nelle cose. Ci costerebbe 4,5 miliardi al mese. Che è quanto abbiamo potuto mettere nella Sanità. Nel dibattito in aula le opposizioni hanno criticato duramente la manovra. Matteo Renzi, leader di Italia viva, è stato durissimo. “Questa manovra è falsa per i numeri – ha spiegato – il ministro Giorgetti ha firmato un patto di stabilità in cui è scritto che dobbiamo avere una curva di rientro della traiettoria debito/Pil dell’1% ma in questa legge si prevede una curva di rientro dello 0,1% nei prossimi anni. La differenza sono 17-18 miliardi. Nei numeri che votate oggi mancano 18 miliardi”.

Manovra, la “fuga dei sanitari”

Gli attacchi più severi riguardano la sanità, e la crescita. Beatrice Lorenzin (Pd) è un fiume in piena: “Non c’è nessuna misura anticiclica per le imprese: cassate ACE e industria 4.0. Non ci sono misure per spingere la produttività mentre gli investimenti calano. Nessuna idea per aumentare i salari mentre l’inflazione morde nel carrello e il taglio del cuneo vale un solo anno”. Poco o nulla sulla scuola salvo lanciare il liceo del Made in Italy. Ma come? E con quali risorse? Nonostante la riforma degli istituti tecnici, all’industria mancano 800.000 addetti qualificati. “Sulla Sanità – insiste Lorenzin – hanno fatto autogol clamoroso incentivando la fuga dei sanitari mentre mancano 30mila medici e 70mila infermieri e 3,5 miliardi alle Regioni”. Argomenti non nuovi ma che sono scivolati via al grido: “Pensiamo ai poveri e alle famiglie”.
La legge di bilancio vale circa 24 miliardi, che salgono a 28 con l’aggiunta dei primi decreti attuativi della delega fiscale. Viene finanziata con un extra deficit da 15,7 miliardi combinata con il rincaro delle accise sui tabacchi e una spending review sui ministeri e nei trasferimenti agli enti locali. Si parla, nel testo, di spending review e della vendita di partecipazioni statali fino a 20 miliardi. Necessari come l’aria visto che soldi ce ne saranno sempre meno considerate le nuove regole del bilancio che impongono una rigorosa austerity. Il Senato ha approvato la fiducia con 112 sì, 76 contrari e 3 astenuti. Stamani sarà in viaggio per la Camera dove sarà votata il 29 dicembre.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.