Male la prima. A vuoto la seconda. Un flop la terza. Ce ne sarebbe anche una quarta, anche questa non va in porto. Il problema è che Forza Italia in questa maggioranza – ahinoi – non tocca palla. A volta è un bene, ad esempio se ballano i soliti emendamenti del senatore Lotito che non hanno esattamente tra le finalità il bene comune. Altre volte è un male, come nel caso del Mes, una saga a cui gli azzurri vorrebbero mettere fine anche solo per non doverne più parlare. E invece il patto Fdi-Lega ha rispedito proprio ieri il fondo Salva-stati in commissione Bilancio per improvvisi “approfondimenti tecnici”.

Addio ratifica, o anche solo il voto, entro il 2023. Se ne riparlerà, forse nel 2024. Non è un buon auspicio per il confronto, oggi a Bruxelles sul Patto di stabilità. Altre volte si tratta di sconfitte per lo più neutrali. Ma tutto questo dimostra, una volta di più, lo strapotere in maggioranza di Giorgia Meloni e del suo partito. Una coalizione dove i pesi specifici politici sono sempre più sbilanciati. Il voto per le Europee aumenterà queste distanze fino a farle diventare insostenibili. Il cerchio magico di Giorgia resiste persino al senatore Lotito, il patron della Lazio, colorito prodotto della politica fai-da-te intesa più come lobbismo che come bene comune. Lotito, si sa, cura i propri interessi.

Quasi sempre hanno a che fare con il calcio, con la Lazio e lo fa con assoluta naturalezza. È un portatore di interessi, lo dice, lo fa alla luce del sole. E però sta rimbalzando. Nei primi mesi di governo e nella prima legge di bilancio gli era andata meglio. Quest’anno è più dura. Ci si mettono anche le date a remare contro. Il 17 novembre fu protagonista di un memorabile siparietto al ristorante del Senato: lui, Lotito, in piedi, con due cellulari in mano (tassativamente no smartphone) che spiegava le sue ragioni al ministro per i Rapporti con il Parlamento – il mite Ciriani – intento a mangiare un piatto di penne in bianco in una pausa del decreto Anticipi. “A Cirià, t’ho detto che sta roba mi serve, basta che metti la parola logo e il gioco è fatto”. Il “gioco” sarebbe stata la sponsorizzazione indiretta delle società d’azzardo on line sulle maglie dei giocatori. Ciriani quel giorno cercò di non alzare mai la testa dal piatto, ignorare, ma le penne in bianco non andavano giù.

Un pressing durato quasi mezz’ora. Vinto dal ministro. Lotito ci ha provato esattamente il mese dopo, nella notte della maratona al Senato (tra il 17 e il 18 dicembre) per licenziare il testo della legge di bilancio e portarlo in aula oggi alle 17. “E dai Cirià, mo’ t’ho spiego io perchè non servono coperture a questa misura” ha insistito Lotito al banco del governo dove sedevano Ciriani e il viceministro Freni (Lega). Nonostante il passaggio di qualche vassoio di sfogliatelle napoletane e il favore delle tenebre, il governo ha tenuto e Lotito è rimbalzato. Ci riproverà, è sicuro, basta attendere. Era passato, invece, quando nel decreto Anticipi, tre settimane fa, ha ottenuto la proroga dei versamenti (un altro suo cavallo di battaglia) per chi aveva aderito alla rottamazione quater. Tutta un’altra storia quella del presidente della Regione Sicilia Renato Schifani, ex presidente del Senato, una pietra miliare di Forza Italia.

Ecco, è rimbalzato anche lui. E male visto che la sua era un’ottima ragione. Il governo ha deciso di sottrarre un miliardo e 400 milioni dei Fondi europei di coesione destinati alla regione Sicilia per opere infrastrutturali e dirottarli al Ponte sullo Stretto. Che certamente è una infrastruttura ma quei soldi servivano ad altro. Schifani non ha gradito: ha preso l’aereo, è venuto a parlare con il ministro Ciriani ed è tornato a casa a mani vuote. In Sicilia lo stanno attaccando perché “a Roma conta quanto il 2 a briscola e non si fa rispettare dalla sua maggioranza”.

Forza Italia non ha funzionato neppure sul Superbonus: il capogruppo Barelli alla Camera e Gasparri alla Camera hanno tenuto il punto finchè hanno potuto. “Guardate che serve la proroga”, “guardate che ci saranno 30 mila persone che perderanno il lavoro”, e via di questo passo. C’è da dire che su questo dossier la resistenza di Giorgetti è stata granitica perché anche i parlamentari di Fratelli d’Italia sono andati in pressing per ottenere una proroga e poter dare risposte ai rispettivi territori. Il Mes è affare di ieri. Tra i tanti è forse quello meno clamoroso. Il segretario di Forza Italia nonché vicepremier Antonio Tajani vorrebbe chiudere questa storia. Il Parlamento voti e dia a Bruxelles quel segnale distensivo che serve. Ma l’asse Meloni-Salvini ha tirato dritto anche su questo. E adesso comincia ad essere un po’ troppo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.