Rilettura dei classici
Cechov, medico e scrittore che voleva rifare il mondo

Il ritrattista e il soggetto del ritratto vengono qui accostati in un capitolo ideale di “vite parallele”. Se Cechov è essenzialità, riserbo e una certa freddezza, e anche una salute presto cagionevole, il nobile decaduto Benin è passione, tripudio dei sensi, e una salute di ferro. Soprattutto se Bunin prende la vita di petto, gode in modo bulimico dell’essenza del mondo (colori, suoni, odori), Cechov «non può evitare un certo risentimento per quella vita che, in segreto, vorrebbe moralizzare», quasi «un desiderio etico di rimettere in sesto il mondo». Forse anche in ciò lo sentiamo più vicino di tanti altri grandi scrittori. In lui convivono questo ingenuo desiderio di rifare il mondo (che è pieno di ingiustizie), l’impegno quotidiano a prendersi cura degli altri, e anche a far costruire scuole, biblioteche, etc. (che è una modalità dell’impegno “politico”).
Insomma la volontà di perseguire il bene, e insieme un’epica tolstoiana dell’esistenza che tutto misteriosamente ricomprende, il bene e il male, e infine l’idea che proprio nella indifferenza della natura cosmica si nasconde il «pegno della nostra salvezza eterna, del moto perpetuo della vita sulla terra, del nostro perpetuo perfezionarci» (così Gunon, protagonista della “Signora col cagnolino”, di fronte al Mar Nero quieto e al cielo senza fine). E anzi è proprio dalla visione disincantata del nostro destino, del “sonno eterno” cui andiamo incontro, dal riconoscimento dell’assurdo, che può nascere il senso della dignità di esseri umani, come nel Mito di Sisifo di Camus.
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