La situazione
Cecilia Sala imprigionata dagli equilibrismi, Italia nella morsa tra Fbi e ayatollah: il meccanismo geopolitico
Il dilemma: fare uno scambio di prigionieri e compromettere i rapporti con Washington o non fare nulla? Attenzione, l’ambasciatore iraniano chiede siano rispettati i diritti umani del povero ingegnere Abedini
Metti che l’Ayatollah Khamenei, guida suprema dell’Iran, sia una personalità cupa e introversa sul genere di Frederick Clegg, il collezionista di farfalle di John Fawles, convinto come lui di agire per il bene della sua prigioniera – anzi, nel caso di Khamenei per il bene dell’umanità. In tal caso dovremmo davvero disperare per la sorte di Cecilia Sala, che rischierebbe, come la prigioniera di Clegg, di ammalarsi e morire nella lurida prigione iraniana, mentre l’Ayatollah progetterebbe il successivo rapimento.
Il meccanismo geopolitico
Per fortuna non è così, e la similitudine vale solo per la paranoia che lega il dittatore iraniano e i suoi gerarchi in turbante e tunica bianca alle ossessioni di Clegg. Cecilia Sala si trova invece ristretta all’interno di un meccanismo geopolitico e ci sono buone probabilità che tutto finisca bene, anche perché contiamo, per quanto la conosciamo, che la bravissima giornalista abbia una solida capacità di razionalizzare la situazione e di superarla senza quei traumi che hanno stravolto la sensibilità di altri grandi giornalisti italiani dopo simili drammatiche avventure.
È tutta una questione di scelte politiche e di tempi.
Un torto agli Usa
Il governo italiano non si è mosso bene nella prima settimana dopo il rapimento; anzi, non si è mosso affatto, confidando non si sa bene in che cosa. Dopo il vertice dell’altro ieri le cose dovrebbero essere cambiate, e l’alternativa dovrebbe essere più chiara: non fare nulla oppure fare un torto agli Usa, decidendo con atto politico di restituire l’ingegnere, presunto complice del terrorismo internazionale, alla cara patria. Nemmeno Le Carrè, temo, saprebbe come uscire dallo stretto imbuto che l’ambasciatore iraniano ha disegnato davanti allo sguardo indefinibile del nostro ministro degli Esteri, appena consolato dal richiamo dell’ambasciatore al “ricorrente anniversario della nascita di Cristo” (che però in Iran il miracolo di restituire le lenti a Cecilia non l’ha ancora fatto).
Alla fine, a meno che la giustizia italiana non accolga il ricorso della difesa dell’ingegnere Mohammad Abedini, sarà il governo a doverlo liberare.
Il luminare di geopolitica Orsini…
Altre soluzioni non sono alle viste, anche se, da buoni cittadini, ci aspettiamo che i nostri servizi segreti stiano vagliando ogni ipotesi, anche le più fantasiose. Ne avanzo una: perché non decidere l’affidamento in prova di Abedini a un suo autorevole amico, che ha già testimoniato a favore della sua innocenza: «È pericoloso un uomo accusato di avere spedito a Teheran un bullone per costruire un drone»? Parlo, come avrete capito, di un luminare della geopolitica, il professore Alessandro Orsini, che ieri ha ben spiegato la situazione: «Siccome l’Italia trattava Abedini come una bestia, l’Iran ha detto al governo Meloni: “O rispettate i diritti umani di Abedini oppure si mette male”». C’è un rischio, è vero: che la storia finisca come in un racconto di O. Henry, Il riscatto di Capo Rosso, dove i malviventi che hanno rapito un bambino di ricca famiglia finiscono per pagare loro il padre purché se lo riprendano. Con la variante che questa volta sarebbe il detenuto in affido a pagare di tasca propria pur di tornare in prigione.
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