Certi magistrati non mollano l’osso dopo averlo faticosamente inseguito e afferrato. Ne sanno qualcosa Luigi Cesaro e Antonio Pentangelo, i parlamentari di Forza Italia coinvolti nell’inchiesta della Procura di Torre Annunziata sulla presunta corruzione finalizzata al rilascio dei permessi di costruire nell’ex area Cirio di Castellammare. La Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai pm oplontini contro la decisione con cui il Riesame aveva annullato i domiciliari inizialmente disposti dal gip per Cesaro e Pentangelo. Con la conseguenza che la posizione di entrambi dovrà essere nuovamente sottoposta al vaglio del Tribunale della libertà.

Qualcuno dirà che si tratta di normale dialettica processuale: la Procura chiede l’arresto di un indagato, il gip lo concede, il Riesame lo annulla, i pm si rivolgono alla Cassazione e questa rinvia al Tribunale della libertà. Tutto normale, se al centro della vicenda non vi fossero due parlamentari (ma il discorso varrebbe anche per un privato cittadino) che sono praticamente “in ostaggio” già da otto mesi. È da maggio dello scorso anno, quando l’inchiesta della Procura di Torre Annunziata portò all’esecuzione di nove misure cautelari, che Cesaro senior e Pentangelo sono sotto la scure della giustizia.

Altro aspetto che fa riflettere (e che costituisce il nòcciolo della vicenda almeno dal punto di vista giuridico) è la questione delle intercettazioni. Il Riesame, infatti, aveva annullato i domiciliari inizialmente ordinati dal gip ritenendo inutilizzabili le conversazioni di Cesaro e Pentangelo captate dagli investigatori. Questo perché, all’inizio del 2020, le Sezioni Unite della Cassazione avevano chiarito un principio: le intercettazioni autorizzate per un determinato reato non possono essere utilizzate per provare un diverso tipo di illecito. La pronuncia aveva fatto scalpore perché metteva fine a una pratica diffusa nelle Procure italiane, cioè quella delle cosiddette intercettazioni “a strascico”.

E ora che succede? La Cassazione smentisce se stessa e, invece di chiudere definitivamente la questione della richiesta di arresto per Cesaro e Pentangelo proprio alla luce dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, rimette tutto in discussione passando nuovamente la palla al Riesame. Che cosa dimostra tutto ciò? La necessità di una riforma della giustizia, a cominciare da una rivisitazione del processo penale. Il Governo ha fissato l’obiettivo e l’ha indicato come parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza da finanziare con i 209 miliardi del Recovery Fund.

E la riforma del processo penale è incardinata alla Camera dove il primo febbraio scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti. I promotori del disegno di legge già (stra)parlano di «giustizia come motore della ripresa del Paese». Ecco, noi ci accontenteremmo di una giustizia più rapida, meno contraddittoria e più credibile di quella che da mesi tiene Cesaro e Pentangelo sotto la propria scure o di quella che ha massacrato l’ex governatore campano Antonio Bassolino, capace di collezionare ben 19 assoluzioni, e devastato la vita di politici come Francesco Nerli e Lorenzo Diana. Insomma, una giustizia più rispettosa delle vite, delle carriere e della dignità delle persone. Questo è l’obiettivo da raggiungere al più presto, una volta archiviata la crisi di governo.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.