Criminale di guerra e premio Nobel per la pace: questi i poli tra cui oscilla la mitica figura di Henry Kissinger che oggi compiendo 99 anni entra nel suo centesimo di una vita: una vita dedicata alla politica estera ma da protagonista. È lui che per un lungo periodo ha fatto e disfatto le prospettive del destino del mondo decidendo tra pace e guerra, scontro e incontro. Ed è sempre lui che ieri l’altro a Davos si è presentato con la sua opinione del tutto imprevista e dunque di pesante valore, sulla guerra russa in Ucraina mandando in bestia gran parte del mondo occidentale, specialmente gli inglesi che puntano sulla sconfitta militare russa: “Non pensateci neppure, ha detto. Se umiliaste la Russia aprireste il vaso di Pandora che scatenerà la fine del mondo”.

Panico: come è possibile che un uomo considerato universalmente di estrema destra militarista americana, oggi prenda una posizione favorevole alla chiusura del conflitto in Ucraina con una rinuncia territoriale di quel paese nei confronti della Russia? È possibile, perché Henry Kissinger non è mai stato un uomo di destra e tantomeno di sinistra ma l’espressione più aggiornata e meno ipocrita del pensiero di Machiavelli. Solido e imperturbabile come un albero secolare, il vecchio ministro degli Esteri e mago degli intrighi planetari e il campione di un realismo oltre i confini del cinismo. È sempre stato e resta il campione del gioco analitico e imperterrito che ha guidato la politica americana prima come segretario di Stato di Richard Nixon e poi come advisor per la sicurezza nazionale. Insomma, è stato l’autore della politica dell’America più dinamica, aggressiva, cinica, ma più che altro aderente alla realtà senza il minimo fronzolo di etica politicamente corretta.

È stato l’uomo che ha chiuso la guerra del Vietnam con gli accordi di Parigi, una guerra aperta dal democratico e giustamente divinizzato John Fitzgerald Kennedy, accettando il dato di fatto: l’America aveva perso non soltanto la guerra, ma il proprio prestigio e persino le proprie armi che furono abbandonate alla fragile Repubblica del Vietnam del Sud. Kissinger tagliò corto e dichiaro quel capitolo chiuso. Ma Kissinger e stato l’ingegnere del brutale colpo di Stato in Cile che tra l’altro ebbe in Italia l’effetto del famoso ripensamento di Enrico Berlinguer che, impressionato proprio da quella brutalità, concepì la strategia di un compromesso storico che non irritasse troppo gli americani, ma anzi li rassicurasse. Salvador Allende, presidente cileno, morì impugnando il mitra regalatogli da Fidel Castro nella casa Rosada finché non fu abbattuto dai militari. Augusto Pinochet inaugurò una feroce dittatura militare anticomunista, teleguidata dal Dipartimento di Stato americano attraverso gli ufficiali della Cia.

Era la risposta americana all’Unione sovietica come avvertimento: avete avuto Cuba per un nostro attimo di distrazione, non sognatevi di poter avere un altro palmo di terra nel continente americano. Anche la Junta militare argentina di Videla e degli altri macellai di Buenos Aires fu opera sua. Si trattava della stessa strategia di contenimento nei confronti dell’espansione sovietica sul continente americano ed è fin troppo evidente il paragone con la guerra russa in Ucraina per impedire l’allargarsi della presenza occidentale nell’Europa ex sovietica ed è questo probabilmente il motivo per cui Henry Kissinger, fra la sorpresa e lo scandalo, di molti falchi anti russi, ha candidamente affermato che umiliare la Russia con una sconfitta militare sarebbe un errore imperdonabile e che la guerra non può e non deve terminare con una vittoria dell’ucraina. In caso contrario, sostiene Kissinger, avrete a che fare con una delle forze meno controllabili del pianeta, scatenata in tutta la sua ira imprevedibile.

Dunque, occhio a chi spinge per una soluzione militare e per l’umiliazione della Russia. Se sia giusto o no, è assolutamente irrilevante, il punto, sostiene Kissinger, è che se l’umanità non vuole rischiare l’estinzione è meglio non giocare la partita del bullismo con la Russia di oggi che non è troppo diversa dall’unione sovietica con la quale lui si è battuto nella seconda metà dello scorso secolo. È stato negli anni Sessanta un valente accademico esperto in “legitimacy”, la scienza del realismo nella legittimazione che – spiegava molti decenni fa – non ha nulla a che vedere con la giustizia e i suoi valori. Si tratta di un principio basato su parametri fisici e non morali perché è su quelli che si gioca il destino delle nazioni e del mondo stesso.

Henry Kissinger è un esperto di mentalità russa, di partita planetaria russa, di gioco di specchi riflesso alla maniera russa e in questo le sue radici sia tedesche che ebraiche hanno un ruolo cui pochi altri americani potrebbero attingere: è il sopravvissuto della vecchia guardia dei Templari della guerra fredda che combatteva come una guerra per nulla affatto così fredda, usando criteri sia militari che politici, impartendo al mondo una gelida lezione. Kissinger è nato in Germania nel 1923 da una famiglia ebrea che fuggì nel 1938 quando era ben chiaro quale sorte fosse riservata a tutti gli ebrei europei e approdò bambino negli States dove imparò un inglese letterario e ricco, ma con un indelebile accento tedesco, delizia di tutti gli imitatori comedian americani. Ha rappresentato con l’anima repubblicana di Richard Nixon e Gerald Ford l’idea centrale della politica internazionale secondo cui si deve cercare il punto di maggior favorevole equilibrio senza concedere quasi nulla ai nobili principi, perché quello della sopravvivenza ha la priorità su tutti.

Il suo periodo d’oro fu quello tra il 1969 e 1977 quando aprì alla Cina di Mao, inaugurando la politica dello shuttle, cioè dell’avanti indietro nel Medio Oriente per porre fine alla guerra dello Yom Kippur e contemporaneamente concludere i negoziati di pace in Vietnam che gli valsero un premio Nobel controverso, contestato da mezzo mondo e tuttavia realistico tanto quanto le sue opere, di cui le meno nobili furono lo schieramento americano con il Pakistan nella guerra genocida con il Bangladesh e la repressione in Cile ed Argentina. Furono più le volte in cui Kissinger si schierò realisticamente con il male che con il bene. È stato profondamente odiato, contestato, considerato l’anima nera dei più detestati presidenti americani come Richard Nixon costretto a dimettersi dopo lo scandalo Watergate.

E dunque sa benissimo egli stesso di non poter essere considerato una figura etica ma soltanto di opportunità politica. Ha quasi cento anni portati con cinica eleganza ed è l’unico uomo al mondo che vanti un’esperienza che ha avuto ragione di quasi tutte le guerre da lui combattute in nome dell’Occidente americano. Oggi Kissinger è convinto che l’Europa debba fare i conti più realistici con una Russia imprevedibile, e dunque pericolosissima: da tenere a bada con la freddezza e la ragione, ma mai con la minaccia dell’uso della forza alla quale, secondo l’ex Segretario di Stato, servirebbe soltanto lo scatenamento brutale di una forza non più arginabile e dunque letale per l’Europa e l’intera umanità.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.