Il Pd è sotto tiro. Lo stanno assediando dall’esterno. Probabilmente la destra vede la sua grande occasione: liberarsi del “bastione” della sinistra (traballante, pericolante, lesionato: ma sempre bastione) renderebbe tutto più facile ai conservatori. Spianerebbe il sentiero della battaglia politica in un momento nel quale – sotto i colpi di maglio della crisi – è difficilissimo fare battaglia politica. Le proporzioni schiaccianti della vittoria elettorale non sono uno scudo sufficiente.

È chiaro che alla destra sarebbe molto utile se l’opposizione fosse nelle mani di un giovane e inesperto movimento qualunquista (un po’ peronista e un po’ para-fascista) piuttosto che in quelle incerte ma robuste e tradizionali del Pd e dunque del centrosinistra. L’attacco al partito di Letta, tuttavia, non viene solo da destra. È iniziata una campagna ad alzo zero, che trova la sua forza nei mass-media, in alcuni potenti settori dell’imprenditoria, nei circoli più manovrieri e un po’ eversori della borghesia. L’obiettivo è demolire il partito di Letta e dare il via libera a lobby, circoli teleguidati, frange estremiste, e naturalmente alla grande galassia populista e qualunquista. L’operazione parte da due falsificazioni. Evidenti ma quasi impossibili da smontare di fronte all’opinione pubblica. La prima è che il Movimento 5 Stelle di Conte abbia ottenuto un successo elettorale. La seconda è che il Pd abbia subito un tracollo.

Sono vecchio. Abituato ai conteggi che si facevano dopo i risultati elettorali qualche anno fa. Si usava la matematica. Ricordo che si parlò di tracollo del Pci quando nel 1979 scese dal 33 per cento (del ’76) al 30 per cento, tre punti percentuali in meno. La stessa cosa avvenne per la Dc nel 1983, con la segretaria De Mita che perse anche lei circa il 5 per cento sulle elezioni precedenti. Mentre si parlò di grande avanzata socialista, nell’87, quando il Psi passò dall’11 al 13 per cento. Da allora, immagino, devono essere cambiati alcuni dei cardini dell’aritmetica. Perché viene considerato vittorioso il Movimento Cinque Stelle, che ha perduto ben più della metà del suo elettorato, e viene considerato annientato dagli elettori il Pd che ha guadagnato, seppure pochissimo, in percentuale, rispetto alle ultime elezioni politiche, sebbene abbia subìto una scissione che le ha portato via circa il 7 per cento dei voti (Renzi-Calenda).

Il più esplicito, sui giornali di ieri, è stato il professor De Masi, intellettuale a volte organico a volte critico verso i 5 Stelle (al momento organico) il quale scrive a chiare lettere sul Fatto:I veri vincitori di queste elezioni sono Fratelli d’Italia e i 5 Stelle”. Il professor De Masi (che è un umanista, e quindi forse un po’ digiuno di matematica, anche se è un sociologo e nella sociologia un poco poco conta anche la capacità di fare somme e sottrazioni) mette assieme, sullo stesso piedistallo, chi ha quintuplicato i suoi voti e chi li ha dimezzati. Voi capite bene che partendo da questi presupposti si può sicuramente imbastire una buona campagna politica, non certo una analisi politica.
Ma il più deciso nell’attacco frontale al Pd è il giornale di Carlo De Benedetti, il Domani. Il quale sconvolge persino la grafica immobile della sua prima pagina per lanciare una parola d’ordine di grande effetto. “Chiudere il Pd”. Scritto enorme, a caratteri cubitali, per tutta la grandezza della prima pagina.

De Benedetti non è nuovo a suggestioni di questo genere. Qualche anno fa decise di chiudere la Olivetti, che era stata, grazie al suo fondatore – Adriano Olivetti – una delle più avanzate aziende del mondo, aveva sperimentato un modello nuovo e dirompente di capitalismo, aveva scoperto e guidato i primi lampi della rivoluzione tecnologica e informatica, aveva iniziato a costruire computer diventando una delle prime, se non la prima azienda d’Europa in quel campo, e poi fu riconvertita da De Benedetti, proprio nel momento nel quale stava per conquistare il mondo, abbandonò la produzione di computer – considerandola una attività obsoleta – e rapidamente scomparve. Ora il bersaglio è politico. Eliminare il più importante partito del centrosinistra e della sinistra.

De Masi, invece – interpretando però, credo, l’opinione di uno schieramento vasto di intellettuali, politici e giornalisti di destra – propone una nuova sinistra a guida qualunquista. Cioè a guida 5 Stelle. Con a capo il nuovo e brillante leader, Giuseppe Conte, che è quello che ha fatto il governo con Salvini e ha esposto esultante un cartello nel quale inneggiava al decreto Salvini-Conte contro gli immigrati. Proprio una bella idea quella di mettere il leader di un movimento qualunquista alla guida della sinistra. E allora, mi chiedo, perché non Salvini, dato che in fondo il suo partito è abbastanza insediato nei ceti popolari del Nord?…

Molto più serio l’articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera di Angelo Panebianco. Il quale dice che oggi il Pd – che lui, credo, non vuole sciogliere – si trova di fronte al bivio di sempre: coi riformisti o coi massimalisti. Dice Panebianco che la scelta più semplice è quella peronista: con Conte, populisti, opposizione scamiciata e radicale. Ma la scelta più giusta è l’altra: con Renzi e Calenda, su una linea riformista, moderata, liberale. Che cancelli lo statalismo e la politica dei sussidi, e abbracci la via dello sviluppo e del sostegno all’impresa. Meno redistribuzione della ricchezza – dice Panebianco – e più impulso all’aumento della ricchezza. Naturalmente se leggi Panebianco – dopo aver letto il Domani e il Fatto – senti l’abisso intellettuale, e apprezzi la capacità di analisi, e anche la conoscenza di un pochino di storia.

A me però sembra che Panebianco sia chiuso in un dilemma del passato. Non credo che la scelta sia tra Peron e Turati. Io ho in mente una sinistra che recuperi la parola socialismo, che persegua la diminuzione delle diseguaglianze, che mantenga una forte impronta radicale, ma che consideri tra i suoi valori fondanti la libertà (assumendo su di sé molti valori del liberalismo), la tolleranza, il garantismo, l’antiproibizionismo, l’internazionalismo ( cioè il governo della globalizzazione). E che rielabori il vecchio classismo approdando a un trasversalismo non qualunquista ma ragionato: si tratta di ricostruire – oggi non trovo altra parola, ma prima o poi la troverò…- la “classe operaia”, ridarle spirito politico e dignità, e di rimettere in piedi una borghesia che negli ultimi vent’ani è scomparsa, travolta dalla crisi della politica e dalla dittatura della magistratura.

È una impresa titanica, che non si risolve coi demagogismi (siete Ztl, non andate in borgata…) che in genere sono coltivati da intellettuali e politici che cosa sia una borgata neppure lo sanno. La vera impresa, amico Panebianco, è questa, secondo me: non avere una sinistra un po’ più di destra, ma una sinistra che sappia mescolare e saldare egualitarismo e liberalismo. Il nuovo significato della parola socialismo, penso, è questa. È attualissima proprio nel momento nel quale anche i liberisti si rendono conto che quando la crisi azzanna, il mercato e la mano invisibile di Smith da soli non ce la fanno, hanno bisogno dello Stato. Il congresso del Pd non deve servire a scegliere un nuovo leader, ma a immaginare una impresa titanica di queste proporzioni. Che non è automaticamente legata alla vittoria o alla sconfitta elettorale. ma che deve rifondare il socialismo. Come fu Bad Godesberg in Germania, come fu Epinay in Francia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.