Rifondare il Pd, subito. O quasi: al congresso, a marzo. Ma con chi? E su quali basi? Su questo il partito si tripartisce come la Gallia descritta da Cesare: “Omnis divisa in partes tres”. Le tre parti sono quelle del Fuori tutto, quelli del Movimento Democratico e quelli, più istituzionali, del Partito dei Sindaci. Non usiamo categorie classiche: non ci sono riformisti e massimalisti ma portatori di esigenze e spinte diverse. Anche generazionali. Di certo tutti e tre grati a Enrico Letta ma pronti a salutarlo con affetto.

Il ruolo del segretario dimissionario si va definendo: non un ‘traghettatore’, né un ‘reggente’, né tanto meno un ‘dimissionario’. Ma un segretario a tutti gli effetti. Di qui al congresso. Così Letta vuole gestire i prossimi mesi fino all’elezione del nuovo segretario. E un’indicazione è arrivata nella convocazione della Direzione Pd per giovedì prossimo 6 ottobre. Perché in quella convocazione c’è anche un’impostazione di metodo su come il segretario delinea il percorso congressuale. Scrive Letta: “Verso il Congresso del #nuovoPD. Convocheremo giovedì 6 la Direzione. Per un percorso congressuale inclusivo e aperto che vada alla radice dei problemi e affronti le sfide che stanno di fronte alla nostra comunità. E per poi scegliere di conseguenza chi ci guiderà in futuro”.

L’idea del segretario è quella di un percorso che consenta innanzitutto un “confronto finalmente autentico, anche radicale, sulla proposta politica del Pd, che sciolga i nodi irrisolti”, dicono dal Nazareno. E solo dopo arrivare ai nomi. Al momento all’ordine del giorno ci sono l’analisi del voto e la discussione sull’avvio del percorso congressuale. Ma non è ancora prevista l’approvazione del regolamento: da Statuto è il primo passo del congresso. Alcuni esponenti Pd stanno chiedendo un congresso che preveda una discussione più profonda di quella prevista dallo Statuto. Letta non vuole allungare troppo i tempi, ma intende assicurate un confronto serio, radicale e senza infingimenti sul profilo, l’identità e la collocazione del Pd post voto.

Il Fuori tutto
Esterino Montino, due volte Senatore e dal 2013 sindaco della roccaforte rossa della provincia romana, Fiumicino, arriva al Riformista Tv con il fumo che esce dalle orecchie. «Non riconosco più un partito che non si riconosce in nessun ceto sociale, in nessun territorio. Un partito che è diventato di carta, o come si dice oggi: virtuale», ci dice. «Dobbiamo ripartire dal contatto con la gente e capire non i Cinque Stelle, ma le ragioni per cui gli ultimi della società, che dovrebbero essere il nostro interlocutore naturale, parlano invece con i Cinque Stelle», ci dice. E chiarisce meglio: «Non dobbiamo allearci con il M5s per fare numero. Dobbiamo analizzare le loro istanze, il loro “appeal” come si dice oggi. Per quale motivo i disoccupati, i precari, i meno abbienti votano per loro? Una volta che lo abbiamo capito, proviamo a dare noi rappresentanza a quel mondo. Altrimenti smettiamo di essere sinistra», arringa Montino. E

d è sul percorso che il sindaco Montino sfida gli altri sindaci: «Li vedo pronti a guidare la rifondazione del Pd, ma con calma. Se c’è stato un terremoto, non si può dire che ricostruiamo tra sei mesi». E dunque? «Il segretario Letta deve lasciare ogni incarico oggi. Deve andarsene dal Nazareno, liberare l’ufficio. E non solo lui ma un intero gruppo dirigente», taglia corto. La rabbia di Esterino, come tutti a Roma lo chiamano da quando stava con Rutelli in Campidoglio, è quella di chi dopo aver dato ogni energia alla costruzione del più grande partito riformista italiano lo ha visto sgonfiarsi prima dalle idee e poi dai consensi. Il fatto che il crollo dei voti abbia incidentalmente interessato anche la moglie, Monica Cirinnà, non rieletta, non fa che esacerbare l’animo. Chi vuole fare piazza pulita su due piedi però non indica un percorso, un obiettivo, un approdo. Ed ecco che a frenarli ci prova Matteo Orfini, già presidente Pd e capo dei Giovani Turchi: «Calma, negli ultimi anni ci siamo dedicati solo a fare alleanze. Fermiamoci a capire dove vogliamo andare prima di correre all’impazzata».

Il Movimento Democratico
È Roberto Morassut, intervistato anche dal Riformista, a lanciare il cuore oltre l’ostacolo: «Il Pd va rifondato. E una rifondazione vera implica una nuova discussione sulle basi programmatiche, sugli obiettivi, sui metodi e naturalmente, insieme a un rinnovamento profondo dei dirigenti, l’adozione di un nome nuovo. I Democratici, per esempio. Un nome che sembra cambiare poco ma cambia tutto. Perché togliere di mezzo la parola “partito” le carte in tavola le cambia, eccome». Richiamarsi alla natura spontanea e partecipativa dei movimenti significa rivoluzionare le dinamiche correntizie sulle quali si è affastellato il potere interno e esterno dei Dem nei quindici anni che vanno dal Lingotto ad oggi. E significa stare al passo con quel Movimento che oggi Conte ha ricostruito e messo a correre parallelamente ai Dem, persino superati in più collegi nel Mezzogiorno.

Ecco che al Movimento Democratico si iscrivono Goffredo Bettini, che rivede in nuce il suo progetto di partito del popolo, e per prossimità la sinistra, a sua volta divisa in due famiglie. Se al Sud si prepara a dare battaglia, anche auto candidandosi se necessario, l’ex ministro Provenzano, al Nord si fa molto forte il vento della novità di Elly Schlein. C’è poco da sbeffeggiarla: il Guardian che la dipinge come l’Ocasio Cortez italiana ci va vicino. È giovane, ambientalista, fuori dagli schemi. “Sono una donna che ama un’altra donna”, il biglietto da visita con cui ha preso la parola a Piazza del Popolo, al comizio di chiusura Pd, la colloca naturalmente in chiave anti-Meloni. È senza dubbio la personalità più di rottura che sia emersa a sinistra. Da noi raggiunta ieri, scalda i muscoli a bordo campo ed è perciò attenta a non bruciarsi. Gli altri pezzi di sinistra Pd, da Pierluigi Bersani a Pippo Civati, da Roberto Speranza a Andrea Orlando, potrebbero essere della partita.

Il Partito dei Sindaci
Prossimità e territorio, ascolto della base e consenso civico. Gli ingredienti che sembrano servire alla pozione magica che potrebbe risvegliare dal torpore in cui è caduto il Pd, sembrano tratteggiare l’identikit dei grandi sindaci. O di un presidente di Regione. Partiamo da Firenze? Dario Nardella ha convocato i suoi fedelissimi, negli ultimi due giorni, in una riunione tanto riservata quanto rumorosa. Perché a 20 mesi dalla scadenza del mandato, nel 2024, sembra deciso a far avere la sua candidatura in tempo per la Direzione del 6 ottobre. Più sottobanco che sopra al tavolo. Come risposta toscana al partito emiliano che ha in pancia la candidatura del governatore “riformista” ed ex renziano Stefano Bonaccini, quella di Elly Schlein e quella intermedia tra i due di Paola De Micheli, modenese, Casco Blu di interposizione.

Se prima era stato il Sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, a far trapelare la sua disponibilità, quella di Paola De Micheli vuole essere più di un accenno di interesse: «Ho 49 anni, un curriculum fitto e la voglia di spendermi in qualcosa di importante». C’è da rifondare il principale partito della sinistra, impresa titanica, e tanta generosità quasi sorprende. «Due autocandidature al giorno, complimenti», dice ancora Matteo Orfini, il bastonatore di questa fase caotica. D’altronde, se il Pd deve ripartire dai territori, è proprio sul piano locale che il Pd ribolle. Dal Molise arriva al Nazareno addirittura una lettera aperta, prima firmataria la componente dell’Assemblea Nazionale Laura Vennittelli, che pretende da Letta le dimissioni da deputato, perché «Il responsabile della sconfitta non dovrebbe neanche rimanere in Parlamento sui banchi dem».

Altri se la prendono con i coordinatori regionali, con i segretari locali. Carmelo Miceli, deputato rieletto, guarda alla disfatta dem nella sua Sicilia: «Dinanzi a un Letta che prende atto della sconfitta, annunciando le sue dimissioni e accelerando la fase congressuale, come può Barbagallo (il coordinatore regionale del Pd, ndr) pensare che la sequenza di disfatte siciliane, amministrative di Palermo, regionali e politiche, non necessiti con assoluta urgenza di una fase congressuale straordinaria?». Sono state autoconvocate riunioni in tutti i circoli dem sul territorio. Da lì si misurerà la temperatura reale di quel corpo – quello dei militanti – che il Nazareno ha troppo a lungo ignorato.

 

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.