La settimana prossima si apre con la Direzione Pd. Prima riunione formale dopo il terremoto del 25 settembre, primo organo a dover rimettere insieme i pezzi e iniziare a tracciare la strada del congresso che il Pd terrà a marzo. Enrico Letta chiede l’accelerazione del congresso PD da celebrarsi “in tempi rapidi”, con un percorso da delineare meglio non appena sarà conclusa la fase di avvio della legislatura. “Ha sempre una dinamica molto intensa. Adesso è bene che inizi la legislatura ed è bene dare il nostro contributo”, ha detto il segretario.

Sarà questo il primo impegno che attende i dem: l’elezione dei capigruppo e le nomine istituzionali ovvero vicepresidenti delle Camere e questori. I quattro vicepresidenti di Camera e Senato si eleggono a ‘pacchetto’ con l’accordo di maggioranza e opposizione. Come gestire il tutto con un congresso alle porte e un segretario che ha già chiarito che non si ricandiderà? Negli ambienti parlamentari PD vengono individuate due strade possibili. La prima prevede di ridiscutere tutto l’intero pacchetto, presidenti dei gruppi compresi. La seconda è quella della ‘transizione’: in attesa del congresso e quindi degli equilibri che ne deriveranno, verrebbero intanto confermate le attuali capigruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani. Quest’ultima contestata nel suo Friuli-Venezia Giulia dal presidente del consiglio regionale, Russo, che la invita a farsi da parte.

Si tratta di cariche ‘a termine’ : nel corso della legislatura potranno essere rieletti dei nuovi presidenti dei gruppi. Per quanto riguarda le nomine istituzionali invece sono ‘permanenti’, i nomi indicati nei prossimi giorni restano in carica per tutta la legislatura. Servirà quindi un accordo interno ai dem su chi indicare. I big non mancano, dagli ex-ministri in giù, e anche new entry di ‘spicco’ come Elly Schlein o le stesse capigruppo, se dovessero essere eletti nuovi presidenti dei gruppi. Ed è alle viste anche un confronto che le altre forze politiche, a partire da quelle di opposizione ovvero M5S e Terzo Polo. “Uno dei primi punti da capire – è il ragionamento di un parlamentare dem – è quale sarà l’atteggiamento di Letta. Interverrà o invece, da segretario uscente, farà un passo di lato?”. Il segretario dem non si ricandiderà al congresso ma non ha ancora fatto capire con quale peso svolgerà la reggenza da qui a marzo. Quello che nel partito molti auspicano è un congresso di rifondazione.

Se all’orizzonte si profila, come anticipato dal Riformista già un mese fa, la sfida tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein. Goffredo Bettini intervistato dal Fatto chiede un cambio di rotta e dice: “Torniamo con Conte”. Un refrain che ha ripetuto per mesi, su cui però è subito bufera. L’ex presidente del partito, Matteo Orfini, ha buon gioco nel raccomandare calma: “La priorità è cosa vogliamo essere noi, non certo con chi vogliamo semmai essere alleati. Quello viene dopo”, fa notare. Guardando alle dichiarazioni di Bettini, si infuria: “Ma basta pensare e parlare solo di alleanze. Abbiamo sprecato tre anni così: la nostra unica proposta politica è stata allearci. A prescindere, e senza idee. Politica delle alleanze, ma senza politica. Un partito non può essere solo questo. Sennò diventa inevitabilmente solo un partito di potere, un partito dell’establishment. Per questo ora è il tempo di pensare un po’ a noi stessi. Di ridefinire senso e missione del Pd. E anche modalità di funzionamento. Senza rimanere ostaggio di chi vorrebbe un cambiamento di facciata per non cambiare nulla”.

Cannonate su una Croce Rossa già in fiamme. Sono in tanti i maggiorenti disarcionati dalla sconfitta elettorale, e anzi dalla sommatoria tra riduzione di un terzo dei seggi e diminuzione dei voti. Capi corrente, figure rappresentative, leader regionali e locali sono rimasti al palo, spiazzati dallo tsunami della marea nera. “La sconfitta è stata netta, inequivocabile”, fa notare tra questi l’ex coordinatore di Base Riformista, Andrea Marcucci. Anche la sua candidatura, tra le altre, è naufragata. “Il Pd ha pagato una ambiguità di fondo, che ha reso anche la nostra stessa identità difficilmente riconoscibile. Ricordo a tutti che il Pd è nato al Lingotto con una fortissima tensione riformista ed innovativa, se perde quella, il progetto si snatura, diventa un’altra cosa. Per questo va fatto un congresso il prima possibile, sulla linea da seguire e sui candidati. Sottolineo il prima possibile”, dice l’ex senatore Marcucci. “Abbiamo perso e abbiamo perso male, credo che dobbiamo ricostruire a partire da una maggiore nettezza sui contenuti, siamo chiamati a uno sforzo di grande rigenerazione”, incoraggia l’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino. Rigenerazione, rifondazione.

Anche nelle parole del rieletto Roberto Morassut: “Suggerisco al Segretario di dare avvio ad una fase ‘costituente’ da non confondersi con una federazione di partiti già costituiti. Si insedi un gruppo di personalità che predisponga un documento sui valori e l’identità della sinistra democratica. Testo da sottoporre ad una vasta consultazione e integrazione da parte non solo del partito ma di forze civiche e associative che sono la polpa della sinistra attuale e che sono escluse dalla vita democratica del partito da troppo tempo. E così si faccia in ogni città. La nostra morfologia deve cambiare radicalmente. Al termine ci sarà un soggetto nuovo con dirigenti nuovi. Un vero movimento politico e sociale: i Democratici”. Un nome nuovo per un soggetto da reinventare. E nomi nuovi per interpretarlo.

Si parla di un cambiamento generazionale importante e si fanno largo i giovani. Brando Benifei, europarlamentare, si iscrive nel club: “La nuova generazione di cui ha parlato è già pronta a farsi avanti per affrontare questa discussione in prima linea”. E precisa le sue priorità: “Oggi serve riportare quella grande parte di italiani arrabbiati, impoveriti e delusi a sentirsi rappresentati e parte di un progetto di cambiamento della società, segnata da troppe disuguaglianze e ingiustizie inaccettabili”. Gli fa eco un altro giovane in rampa di lancio nazionale come Dario Nardella. Per il sindaco di Firenze “il primo punto serio di crisi del nostro partito è che abbiamo perso la nostra missione. Non abbiamo chiaro qual è il blocco sociale che vogliamo davvero rappresentare”.

Questione di fondo, sulla quale non ha dubbi Elly Schlein. Secondo il Guardian, è lei la nostra Alexandra Ocasio Cortèz. Potrebbe essere lei a dare vita al duello emiliano in chiave anti Bonaccini. A sondare dirigenti e parlamentari uscenti del Pd, tuttavia, in pochi sembrano credere in questo derby: “Un congresso in cui si fronteggiano un presidente di regione e la sua vice non è dato in natura”, viene spiegato da fonti Pd: “Se poi vince Schlein, Bonaccini governerebbe da sconfitto dalla segretaria del suo stesso partito?”, ci si chiede. Altrettanto inverosimile appare l’altro derby, quello fra sindaci: da una parte Antonio Decaro e dall’altra Matteo Ricci. Ovvero Bari e Pesaro: due amministratori molto apprezzati nel partito, ma su cui in pochi si sentono di scommettere per la corsa alla segreteria dem. Stefano Bonaccini potrebbe scendere in campo solo se gli venisse garantita la pax emiliana, senza minacce in casa e anzi con la solidità del doppio incarico, a Roma e a Bologna. Tutti argomenti all’ordine del giorno del prossimo mese. Perché c’è chi ha iniziato a chiedere di anticipare la data del congresso da marzo a gennaio, a fine gennaio. Il 21 gennaio, in questi tempi di anniversari storici, cadrebbe bene per fondare il partito nuovo della sinistra italiana.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.