Il presidente della regione Emilia Romagna, che tutti considerano il possibile successore di Letta, ieri si è sbilanciato con una prudente dichiarazione. “Se utile mi candito”. E ha aggiunto: “Non ho gradito alcune autocandidature”. Intanto il dibattito nei dem cresce, come la tensione che si respira girando nei circoli sul territorio. Centinaia le autoconvocazioni della base, gli attivi, le riunioni fiume che si preannunciano già questo fine settimana. E cresce l’area di chi ritiene maturo il tempo per un allargamento del partito. Un partito che abbracci l’intera sinistra, a partire da chi è rimasto indietro, e al momento del voto è rimasto a casa.

L’analisi dei flussi ha colpito il Nazareno: tra gli astenuti tantissimi sono i disoccupati, i meno abbienti, i residenti nelle periferie o nelle aree interne depresse del Paese. Si manifesta plasticamente, ricostruiscono gli addetti ai lavori, quell’abbandono del principale partito della sinistra da parte dei suoi elettori naturali. Ci sono tutti i dati per affrontare un confronto di idee, prima ancora che una corsa all’autocandidatura. “Non siamo a X Factor”, ironizza Dario Nardella. Il sindaco di Firenze non vuole stare ai margini di questa fase di ripensamento. Ha il polso della gente, da sindaco, ma anche quello internazionale, presiedendo il circuito delle città di Eurocities. “Il Pd deve tornare a fare il grande partito della sinistra italiana. A partire dai temi che sono propri, in tutta Europa, dei grandi partiti riformisti. Quelli sociali e del lavoro, dei diritti vecchi e nuovi, dell’istruzione, della sanità, dei giovani e dei migranti”, ci sintetizza Nardella. Insieme alle sue parole quelle di chi aveva accompagnato i Ds alla fusione – mai troppo riuscita – che ha dato vita al Pd del Lingotto.

Marina Sereni, responsabile esteri negli anni della segreteria Ds di Piero Fassino, è diretta: “La dico in termini brutali: per la prima volta un’Opa ostile nei nostri confronti è in campo e noi non siamo sicuri di saperla respingere”. In questa situazione, “può un congresso ordinario essere la strada per trovare la risposta? Personalmente penso proprio di no, e confesso di leggere con un certo fastidio il moltiplicarsi di candidature, vere o presunte, come se una nuova leadership ci esonerasse dal fare la fatica di rimotivare e rifondare l’idea da cui è nato il Pd. Per me il nodo è questo: c’è ancora bisogno di un partito della sinistra riformista? La mia risposta è sì”. Ma per far questo, secondo Sereni, occorre “discutere su cosa vogliamo essere, su chi vogliamo rappresentare, sul perché siamo percepiti (o forse siamo davvero) così distanti dalle persone che hanno meno opportunità. Dobbiamo rompere rendite di posizione e dare vita ad un nuovo inizio partendo dai territori e dal sociale”.

Enrico Borghi, da molti considerato tra gli intellettuali del partito: “Andiamo a un primo confronto importante con la Direzione del 6 ottobre. Sui motivi che ci hanno condotto sin qui e sulla impostazione del lavoro di opposizione che sia funzionale a creare le condizioni per il ripristino della democrazia dell’alternanza e dunque preparare il Partito Democratico ad essere pronto come alternativa di governo quando la prossima volta gli italiani torneranno al voto”. Il percorso va guidato da Letta, sostiene Borghi. “Il segretario è dimissionario, ma c’è. Sulla sconfitta dobbiamo assumere noi tutti, come gruppo dirigente, una responsabilità condivisa. Non mi sono mai piaciuti quelli che quando si perde si affannano a cambiare segretario e dividersi quel che resta. Oggi come intero gruppo dirigente ci dobbiamo assumere l’onere della sconfitta. Punto. E fino in fondo. Riconosco anche a Letta il non voler abbandonare la nave a se stessa. Abbiamo bisogno, attraverso le procedure, di portare il Pd a un congresso straordinario dove andare a fondo della crisi di identità che si è determinata. Dunque la direzione deve convocare l’Assemblea nazionale e fissare la data del congresso. Non avrebbe senso creare organi provvisori, incerti, che vivono tre mesi e gettano così un partito smarrito in pasto agli eventi”.

Ci ricorda il precedente del Ppi guidato da Martinazzoli:Mino mandò un fax per dimettersi, ci furono giornate di caos. Abbiamo perso ma non dobbiamo gettarci nello scoramento della sconfitta della storia”. Anche per lui la ripresa passa per una rilettura dei fenomeni, degli errori e delle opportunità alla luce del posizionamento europeo dei partiti socialisti. “Dobbiamo recuperare la scuola degli Annales di Block, di Febvre e di Fernand Braudel: la storia come longue durée”, prosegue Borghi. “Quello che è accaduto domenica scorsa è un epifenomeno della storia, di un processo storico. Non è uno scherzo del destino. Ci parla di come le destre stanno reagendo alla globalizzazione, fornendo risposte semplici a problemi complessi. Ripartiamo dalle nostre ricette senza pensare che ci sia un destino già scritto”. Lo scenario è aperto. In Francia le risposte di Macron, in Germania l’Spd di Scholz, in Spagna Pedro Sanchez e persino il recupero in tutti i sondaggi dei laburisti inglesi ci dicono che le sinistre di governo, socialiste, riformiste in tutta Europa hanno ancora una voce forte.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.