Nel suo ultimo libro, Come evitare un disastro (climatico), Bill Gates invita a essere radicali nei mezzi (“iniziare subito a decarbonizzare”) ma intelligenti e realisti sui tempi: “pretendere di realizzare la transizione energetica, prima che i tempi e i costi delle tecnologie no-carbon siano accessibili, porterebbe a fallimenti e delusioni”. Il 2050, scrive Gates, è l’orizzonte giusto. Purché si inizi subito. Il ministro Cingolani, in questi giorni, ha fatto cenno a tre tecnologie – batterie di stoccaggio dell’energia elettrica, idrogeno e fusione nucleare – come pilastri della transizione ecologica, almeno dal punto di vista italiano. Nessuna di queste tecnologie è già “pronta” all’uso e utilizzabile in tempi brevi. Ma, certo, occorre cominciare: potenziando la ricerca, indirizzando investimenti (a cominciare da quelli del Pnrr) e operando scelte di politica industriale verso le filiere che investono in queste tre tecnologie.

Tra le tecnologie della transizione ecologica, la fusione nucleare rappresenterà il cosiddetto breakthrough, il salto “epocale”, la rivoluzione di paradigma nella generazione di energia. Sarà la “rinnovabile” per eccellenza: accessibilità illimitata e a basso costo del combustibile (acqua pesante e litio); assenza di emissioni carboniche; sicurezza intrinseca, altissima intensità energetica e senza problemi di scorie. Insomma, una sorta di sacro graal. La fusione nucleare ha una fisica affascinante. Praticamente, si propone di riprodurre, artificialmente, il meccanismo che genera l’energia delle stelle. E’ dagli anni 50 che, in decine di laboratori di tutto il mondo, si studia il meccanismo della fusione. E si costruiscono macchine per sperimentarla. Nella sostanza, l’obiettivo degli esperimenti è quello di ottenere la tenuta nel tempo e l’autosostentamento del plasma, il motore della fusione: un gas speciale di atomi ionizzati, caldissimo, in cui isotopi del leggero idrogeno (deuterio e trizio) si fondono generando un’enorme energia. Che l’uomo proverà a convertire in elettricità.

La scienza e la ricerca italiane (Enea, Infn, Cnr, Consorzio RFX, Università) hanno avuto un peso significativo negli esperimenti internazionali della fusione. Ora si sta per passare, finalmente, al test decisivo: la prova in un impianto a scala reale ( 500 MW di potenza termica), quella delle future centrali elettriche a fusione. Seppur sperimentale, è il più grande impianto in completamento (2024) oggi al mondo. Lo sta realizzando a Cadarache, nel sud francese, il consorzio internazionale ITER ( Usa, Unione Europea, Russia, Cina, Corea del sud, Giappone e India). L’investimento previsto è di 25 miliardi di euro in 20 anni. La costruzione (15 miliardi), intanto, ha già appaltato circa la metà ( 7 miliardi) delle risorse a budget. Le ditte italiane, vincendo una concorrenza distribuita in 35 paesi del mondo, si sono già aggiudicate un quarto (1 miliardo e 600 milioni) delle risorse. Eccellendo in quasi tutte le tecnologie, spesso avanzatissime, della macchina Iter (meccanica, ottica, magnetica, superconduttività, robotica ecc.).

Nella filiera italiana figurano campioni dell’industria pubblica e privata, piccole e grandi imprese: Mangiarotti, Ansaldo Nucleare, Fincantieri, Danieli, ASG, Walter Tosto, Simic, Leonardo, Monsud, Cestaro Rossi, Vernazza e altre. Così, con la ricerca e l’industria, l’Italia si posiziona tra i leader nella tecnologia energetica del futuro. Non è un caso che a Frascati sarà localizzato l’impianto sperimentale Divertor Tokamak Test (DDT): 500 milioni di investimento ( 150 occupati diretti e 1500 nell’indotto). Testerà una delle sfide più delicate e complesse della macchina della fusione: quella delle soluzioni tecnologiche e dei materiali inediti che debbono sostenere i forti carichi termici sui componenti e sulle pareti entro cui fluirà il caldissimo plasma. Le prove sperimentali Iter e Ddt dureranno un decennio. Nel frattempo l’Europa, con fondi propri, avvierà la costruzione di Demo, l’impianto gemello di Iter. È un investimento, di portata analoga, per costruire il prototipo di centrale a fusione, quello che realizzerà la “prova elettrica”, l’allaccio alla rete. La prima “corrente elettrica” da fonte illimitata è prevista nel 2050.

L’Italia avrebbe le carte in regola per rivendicare la localizzazione di Demo. L’energia stellare l’avremo nel 2050, ma le macchine di essa arriveranno prima: la fusione nucleare, dunque, sarà la più grande infrastruttura tecnologica in costruzione nei prossimi 10 anni. Per gli obiettivi antiemissivi al 2030, però. occorrerà far leva su tutta la batteria delle tecnologie no-carbon disponibili subito. Ci serve un “ponte” al 2050. Diventeranno commerciabili , nel prossimo quinquennio, reattori nucleari (a fissione) di nuova concezione: piccoli (fino a 300 MW), a sicurezza passiva, che minimizzano il problema delle scorie e, soprattutto, sono complementari agli impianti rinnovabili.