“Se l’Italia non è abituata alla serietà e alla responsabilità, se l’Italia non è abituata a prendere sul serio nessuno, se l’Italia borghese si è per caso formata la facile e dolce persuasione che neppure i rivoluzionari italiani sono da prendere sul serio, sia lanciato il dado: siamo persuasi che più di una volpe lascerà la sua coda e l’astuzia nella tagliola”. Sono parole tratte da un articolo apparso il 31 gennaio 1921 su “L’Ordine Nuovo” da Antonio Gramsci, a proposito della “avanzata” dei fascisti a Torino, del clima che si respirava in città in quell’inverno, della necessità di una risposta immediata e dura onde non consentire ai fascisti di “trionfare” a Torino dopo i successi mietuti in altre città.

Questo testo, come gli altri raccolti nel volume Contro il fascismo nascente, curato dal prof. Luca Cangemi, che ne firma l’introduzione, ed edito dalla siciliana Lunaria Edizioni in occasione del centenario della marcia su Roma, è stato scelto per dimostrare come sia infondato il rimprovero mosso al Partito Comunista d’Italia di aver sottovalutato il fascismo ormai alle porte del potere e come uno dei suoi intellettuali più lucidi, Antonio Gramsci, avesse ben chiari, invece, peso e caratteri del pericolo liberticida incombente. Nell’articolo intitolato “Italia e Spagna”, apparso a marzo di quello stesso 1921 che vide la scissione di Livorno, Gramsci si interroga su cosa sia il fascismo osservato su scala internazionale e descrive con straordinaria efficacia (e con parole che oggi suonano particolarmente evocative e significative) lo stato di “reset” totale dell’economia e della politica degli Stati dopo il primo conflitto mondiale.

Arriva quindi a scrivere: “Si è creata un’unità e simultaneità di crisi nazionali che rende appunto asprissima e irremovibile la crisi generale”. Gramsci intende qui porre l’accento sulla scala “globale”, diremmo oggi, e inestricabilmente interconnessa di problemi socio-politici ed economici. Di fronte a questa complessità, la reazione della brutale semplificazione è tanto immaginabile quanto nefasta: “Ma esiste uno strato della popolazione in tutti i paesi – la piccola e media borghesia – che ritiene di poter risolvere questi problemi giganteschi con le mitragliatrici e le revolverate, e questo strato alimenta il fascismo, dà gli effettivi al fascismo”.

Al di là delle soluzioni e delle conclusioni ovviamente coerenti con la “fede” comunista, colpisce continuamente di questi scritti, elaborati e pubblicati tra il 1921 e il 1926, la capacità di analisi del fenomeno già dal suo consolidarsi prima dell’ottobre ’22, una capacità che riguarda le caratteristiche di un popolo e di una società, riuniti in Stato nazionale fragilissimo da pochi decenni, le loro tendenze, certi istinti che riconosciamo uguali quando leggiamo la Divina Commedia e quando osserviamo alcune dinamiche oggi in corso. “Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri” (“Forze elementari”, 26 aprile 1921).