Dopo l’attentato a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha intrapreso una strada di cui sembra ormai certo: seguire la pista della presunta responsabilità ucraina. A nulla sono valsi la rivendicazione dello Stato islamico e le argomentazioni delle intelligence occidentali, che avevano avvertito del rischio terrorismo al pari dei servizi iraniani. E tantomeno sono serviti i caveat di una parte del cerchio magico del Cremlino che ha chiesto al leader russo di interrompere questa ossessiva caccia al colpevole a Kiev. Putin persevera. E lo certificano le ultime mosse di Mosca. Il Comitato investigativo, su richiesta di alcuni deputati della Duma, ha aperto un’inchiesta sul ruolo di Kiev, Washington e di altri partner occidentali nella preparazione ed esecuzione di attentati sul suolo russo. Inchiesta che non riguarda nello specifico solo la strage di Mosca, ma la cui tempistica non può legarsi proprio a quel tragico episodio.

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha inoltre detto che Mosca ha intenzione di “ricorrere ai tribunali internazionali”. “I documenti pertinenti sono ora in fase di preparazione e il nostro Paese sta seguendo le opportune procedure obbligatorie”, ha detto Zakharova. E tra le varie richiesta presentate a Kiev c’è anche l’arresto di Vasily Malyuk, il capo del servizio di sicurezza ucraino, che ha ammesso di avere pianificato il raid dell’ottobre 2022 contro il ponte di Crimea. “Il regime di Kiev ha fatto la sua scelta, ha seguito la strada dell’estremismo e del terrorismo e ha ripetutamente dichiarato di non pentirsi né di condannare le azioni dei capi delle sue Forze Armate, del Battaglione Azov e di altri come loro, ma anzi le sostengono in ogni modo possibile” ha continuato la portavoce degli Esteri. E come se non bastasse, sui media della Federazione hanno fatto scalpore le parole dell’ex capo dell’ufficio russo dell’Interpol, Vladimir Ovchinsky, che su Primo Canale ha espresso un suo misterioso parere sul fatto che gli attentatori del Crocus City Hall di Mosca potrebbero essere stati usati dai servizi occidentali e addirittura manovrati utilizzando dei chip impiantati nel cervello.

Segno che le televisioni di Stato hanno ormai ampiamente intrapreso la strada della conferma della cosiddetta “pista ucraina”, alimentata da Putin e dagli apparati del potere russo, in particolare dai servizi segreti. Ieri, i servizi di intelligence estera (noto con l’acronimo di Svr) hanno nuovamente accusato l’Ucraina di utilizzare le informazioni ottenute dai satelliti spia statunitensi e di usarle per compiere attentati in Russia.
E l’Svr si è detto anche convinto che “la propaganda” degli Stati Uniti riguardo l’unica responsabilità dell’Isis-K non funziona né tra i Paesi Nato né tantomeno tra i Paesi del “sud globale”. La pressione aumenta anche verso il presidente Volodymyr Zelensky. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha lanciato una provocazione: non riconoscerne la legittimità del leader ucraino. Dal momento che si sarebbero dovute tenere le elezioni per il rinnovo della carica – elezioni non realizzate poiché è in vigore la legge marziale – il governo russo sembra intenzionato a imbastire una nuova manovra politica.

“A maggio, arriverà effettivamente il momento in cui scadranno i poteri dell’attuale presidente. Analizzeremo la situazione per dichiarare la nostra posizione”, ha detto Peskov. E mentre il governo russo usa anche questo strumento di pressione diplomatica e “legale” – la cui utilità appare alquanto discutibile – non diminuisce invece l’intensità dell’altra vera arma contro l’Ucraina: la macchina bellica. Lì dove ieri è stato ucciso in un attentato un amministratore locale filorusso del Lugansk, Valery Chaik. Le intenzioni di Putin sono chiare, e lo dimostra l’ultimo decreto per la coscrizione in primavera di 150mila uomini tra i 18 e 30 anni. Gli esperti occidentali sottolineano che sia improbabile che le forze armate usino i militari di leva per inviarli sul fronte ucraino. E del resto lo stesso contrammiraglio russo Vladimir Tsimlyansky ha confermato che le nuove reclute, che saranno arruolate in tutto il Paese (e quindi anche nei territori annessi) non parteciperanno al conflitto e non saranno inviate nelle regioni occupate. Ma è chiaro che la loro coscrizione può servire a inviare altri reparti più esperti sul fronte oppure a blindare proprio il confine tra Russia e Ucraina, dove Mosca appare più vulnerabile. E in quella che lo stesso patriarca Kirill ha di recente definito una “guerra santa”, tutte le forze possono essere impiegate per aumentare la pressione su Kiev e lo scontro con tutto l’Occidente.

Uno scontro globale tra i nemici di sempre, e che ora si arricchisce di un altro capitolo: le novità sulla famigerata “sindrome di L’Avana”. Secondo un’inchiesta internazionale condotta da diversi media, dietro i misteriosi disturbi avvertiti dal personale diplomatico statunitense a Cuba. Secondo le indagini, le lesioni cerebrali e quegli “incidenti sanitari anomali” che hanno colpito i funzionari Usa dal 2016 sarebbero il frutto di “armi acustiche non letali”. Armi che secondo diversi media avrebbero una sola mano: l’intelligence russa. Nel 2023, l’amministrazione Usa aveva smentito queste teorie definendo “improbabile” il coinvolgimento di un servizio straniero. Ma testimoni, esperti e indizi potrebbero far propendere per la pista russa. Confermando quella crisi sempre più profonda che appare cristallizzata negli schemi della Guerra Fredda.