Lo scaffale
Cronache di un mondo in movimento, quello di Anna Badkhen: pellegrinaggi che rinviano ad altri pellegrinaggi in un girotondo che lascia senza fiato

«L’effetto complessivo è una polifonia strana, ossessionante: “La meta dei miei pellegrinaggi è sempre un altro pellegrino”, ripete la narratrice dei “Vagabondi” nel corso del romanzo. Ma dove si collocano, nel mondo di Tokarczuk, le persone che so essere reali – le vittime dell’uragano e i migranti, le mie famiglie improvvisate e gli ospiti temporanei in Afghanistan, Iraq, Mali, nei gelidi campi profughi ricoperti di fango del Caucaso, i compagni di viaggio che condividono con me le loro gioie e i loro dolori più intimi?». La frase di Olga Tokarczuk citata in questo libro di Anna Badkhen (“Cronaca di un mondo in movimento”, Gramma Feltrinelli, traduzione di Gioia Guerzoni) è molto esemplificativa: questi raccontati qui sono come pellegrinaggi che rinviano ad altri pellegrinaggi in un girotondo attorno al mondo che lascia senza fiato.
Badkhen è una saggista e giornalista che ha seguito qualunque cosa ai quattro angoli del pianeta, una cronista eccezionale che sa raccontare ciò che vede come pochi altri. Qui sfilano, in un corteo di situazioni, appunto una “polifonia” di colori, misfatti, il Sahara, l’Etiopia, l’America, le scoperte, la bellezza, le guerre. In undici reportage Badkhen svolge gli aspetti inquietanti della condizione umana nel nostro tempo. Un tempo che non è solo “questo” nostro tempo presente ma la notte dei tempi, quando tutto nacque: e di qui si parte per affrontare le cause dei disastri contemporanei, la fame, la siccità, il cambiamento del clima, le disparità sociali, il razzismo. O le migrazioni, gigantesche: «Del miliardo di migranti che si stima vivano oggi sul pianeta, un quarto ha attraversato dei confini politici, e alcuni hanno vissuto il miracolo di ricevere sostegno legale dalla loro terra di approdo. Io sono tra quei fortunati: nel 2004 ho lasciato la Russia per gli Stati Uniti. Se dovessimo essere raggruppati in un unico Paese, le sue frontiere racchiuderebbero la quinta nazione più popolosa del mondo». È un mondo che non trova una sua razionalità, un suo ordine. Un mondo non felice. Difficile da raccontare.
Questo è il grande giornalismo che si spinge sull’orlo della riflessione culturale, persino filosofica, attraverso pagine incredibilmente affascinanti di cui si può solo dare qualche piccolo frammento. «In un lunedì di inizio agosto mi ritrovo china sulla tomba di Geronimo in un cimitero di prigionieri di guerra in Oklahoma, a versare del terriccio in una doppia busta con chiusura a zip comprata da Target. Lo porterò, in macchina e poi in autobus, fino a Guachochi, una cittadina della Sierra Madre Occidentale. Lì, tre sorelle messicane che da poco hanno scoperto di discendere dal famoso capo apache, guerriero ma anche sciamano ed esperto di medicina tradizionale, terranno una Ceremonia del Perdón. Il terriccio è il mio regalo». Dalla profonda America ai deserti africani all’Oriente, il racconto di Anna Badkhen si dipana alla ricerca di qualcosa che vada oltre ciò che lei vede: il senso di un mondo conosciuto e sconosciuto al tempo stesso.
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