La giustizia è amministrata dalle persone, questo vuole dire che nessuna norma, sia essa processuale o organizzativa, può incidere sulla loro cultura. E vuol dire anche che la formazione culturale incide profondamente sulla interpretazione e sull’applicazione delle norme. La cultura del singolo giudice, per esempio, ha conseguenze dirette sul numero dei giudizi abbreviati, quindi sul numero dei processi che finiscono a dibattimento. Prendiamo ad esempio il Tribunale di Napoli.

Anni fa c’era un sistema che prevedeva in automatico, in caso di abbreviato richiesto a seguito di giudizio immediato, l’assegnazione del giudizio al Gup della sezione successiva rispetto a quella che aveva disposto l’immediato. Risultato? Numerosissime richieste di abbreviato per alcuni giudici, richieste prossime allo zero per altri. Lo stesso discorso vale per le udienze preliminari. Perché? Semplicemente perché, se da un lato iuria novit curia, dall’altro gli avvocati conoscono i singoli giudici, come ragionano, di quale cultura sono portatori. Un Gup che riceve pochissime richieste di rito abbreviato ha una cultura della giurisdizione profondamente diversa rispetto a quella del suo collega che invece ne riceve tante. Può una modifica di una norma cambiare la cultura di quel giudice? No. Lo stesso accade con i pubblici ministeri per le richieste d’archiviazione.

Molte delle riforme proposte dalla Commissione Lattanzi, se approvate, rischiano quindi di avere un effetto molto diverso in funzione dei singoli magistrati che dovranno interpretarle e applicarle. La Commissione, per esempio, non può dire se cinque fogli di motivazione, intestati ma non firmati, posti all’interno di un fascicolo d’appello, siano in realtà dei “meri appunti”, come ha sostenuto l’Anm di Napoli in un recente comunicato, e non una sentenza già scritta prima della discussione, come sostenuto dagli avvocati. Questo lo potrà dire solo la presidenza della Corte d’appello e la sua risposta sarà molto indicativa della cultura della giurisdizione di cui è portatrice. La riforma delle impugnazioni in senso restrittivo, prevista dalla Commissione Lattanzi, potrà incidere sul ripetersi di casi del genere? No, inciderà certamente sul carico delle motivazioni dei processi in appello, tanti dei quali potranno concludersi con un sintetico giudizio di inammissibilità, ma non su un generale maggiore approfondimento dei casi da parte dei singoli dei giudici d’appello. Purtroppo, invece, inciderà sul diritto di ogni cittadino a un nuovo giudizio sul proprio caso, spesso deciso in primo grado da un giudice non togato, o magari da un giudice a cui è mancata la giusta serenità o competenza per quel caso specifico.

La riforma vuole estendere la procedibilità a querela di parte per numerosi reati, con chiari intenti deflattivi. È un bene, ma come sempre il vero problema non viene affrontato, anche a causa di un certo realismo politico. Già, perché l’abrogazione di tanti reati bagatellari, che ingolfano la macchina giudiziaria, è impossibile da proporre a questo Parlamento. Eppure, nessuno è in grado di dire il numero – anche approssimativo – delle condotte previste in Italia come reato, certamente migliaia. In un Paese in cui non si vuole mettere mano all’obbligatorietà dell’azione penale e alla riduzione del numero delle condotte previste come reato, il problema della lungaggine delle indagini e dei processi potrebbe essere ridotto aumentando il numero dei magistrati inquirenti e giudicanti in servizio, oltre che del personale, arrivando anche a raddoppiarlo.

Ma questo è un tema sul quale la magistratura si è sempre mostrata fredda, se non contraria, perché avrebbe come conseguenza una minore concentrazione della propria influenza anche all’interno della magistratura stessa. La Commissione Lattanzi propone, infine, dei rimedi compensativi – sconto di pena o indennizzo – in tutti i casi in cui non viene rispettata la durata prevista dalla legge Pinto per i singoli gradi di giudizio. È una proposta da valutare con attenzione, ma c’è un “però”. In questi anni le pene sono state costantemente aumentate dal legislatore, quindi non abbassarle – ma il problema, appunto, deriva dalla politica – e prevedere lo sconto in caso di condanna è una idea che ricorda un po’ gli sconti degli autogrill in cui il prezzo, maggiore rispetto alla realtà, viene ridotto poi con lo “sconto” al normale prezzo di mercato.