Tante famiglie stanno rinunciando e rinunceranno all’opera dei cosiddetti collaboratori domestici. Stanno rinunciandovi già ora per timore del contagio; e ancora in prospettiva ci rinunceranno perché non avranno più abbastanza soldi per remunerare quel servizio. Si tratta di centinaia di migliaia di lavoratori (quasi un milione), per parlare solo dei “regolari”, allocati soprattutto al Nord e cioè nelle regioni più colpite dall’epidemia. Gli italiani spendono (spendevano) quasi sette miliardi all’anno per retribuirli e pagargli i contributi. E una cosa soprattutto accomuna questi lavoratori: sono in gran maggioranza stranieri (80%).

Quel che succederà ora si sa benissimo: un po’ saranno licenziati punto e basta; altri saranno messi in nero e rimpolperanno la quota dei tanti che già lavorano senza contratto. Ebbene, che cosa fa il decreto “Cura Italia” per questa gente? Nulla. Nessun sostegno. Nessun aiuto. Evidentemente perché non basta eliminare Salvini dal governo per revocare l’efficienza del solito slogan, magari inespresso ma ben condiviso nel prosieguo progressista: e cioè “prima gli italiani”. Non so se si tratti del fatto grezzo che questi lavoratori non votano, e dunque non ripagheranno nelle urne questa mancata attenzione nei loro confronti.

Credo che si tratti piuttosto di un riflesso anche più odioso: e cioè che in maggioranza sono asiatici o dell’Est Europa, dunque non propriamente negri, ma tanto basta a metterli in coda nelle politiche di tutela e anzi a non garantirgliene nessuna. Ed è il medesimo riflesso che illumina un altro campo di segregazione: quello dei carcerati, che il virus possono prenderselo senza tante storie perché il diritto alla salute va bensì protetto, ma a condizione che a reclamarlo siano gli italiani “per bene”.

Il razzismo italiano non è solo quello appariscente negli strilli del comiziante xenofobo, che dopotutto è abbastanza semplice denunciare. Il razzismo italiano è anche nella pretesa che gli stranieri, quando pure si accetta che ci invadano, “stiano al loro posto” e cioè nei ranghi più bassi della società, incurvi a tirar su pomodori o a pulire il culo di un Paese vegliardo non importa: basta che rimangano in questa riserva di servaggio che abbiamo creato, e va bene così.

Si tratta di una delle poche classi veramente produttive di questo Paese, e molti di questi stranieri farebbero molto meglio di tanti italiani in qualsiasi azienda e nella stessa amministrazione pubblica: e mentre l’Italia unita e solidale si salva nella retorica delle decretazioni straordinarie e canta sui balconi, questi altri si fottano pure.