L'analisi
Depuratori maglia nera… E l’italiano paga
Nello Stivale ci sono ancora 895 agglomerati comunali fuorilegge sui complessivi 3.193
“E io pago!”, avrebbe reagito così il grande Totò. E già, perché a nome di tutti noi italiani, ogni santo giorno, lo Stato deve versare sul bilancio europeo ben 145.000 euro! Ogni 24 ore giriamo questa bella cifra solo per pagare la prima multa della prima condanna andata a sentenza della Corte Europea di Giustizia fino a quando nessuno lo sa, ma sappiamo che è solo l’inizio visto che sono 4 le procedure di infrazione in corso che arriveranno a sentenza.
Il reato reiterato? Un comportamento primitivo con violazioni diffuse che ci mette sul banco degli accusati come cronici inquinatori di acque lacustri, fluviali e marine e di ambienti. La colpa? Non essere ancora riusciti ad allacciare oltre il 20% delle nostre aree urbane a reti fognarie o a un depuratore funzionante, continuando a vomitare acque reflue soprattutto nei fiumi e nei torrenti e negli scoli abusivi che portano nel mare e su spiagge bellissime e frequentatissime scene da rabbrividire al punto da essere classificate dall’Arpac di Napoli alla foce dell’inquinatissimo Vulturno come “frammenti polposi di materia organica in decomposizione”. Insomma, merde per dirla con Pierre Jacques Étienne visconte di Cambronne.
Ma la scarichiamo in compagnia di plastiche e microplastiche, spazzatura varia, dilavamento agricolo con concentrazioni di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti, sversamenti illegali di metalli pesanti convogliati da scarichi industriali. Storie ordinarie follie, dovute a carenza di controlli e all’assenza di sistemi di smaltimento.
Non a caso le analisi delle acque di balneazione vedono il 45% di coste anno dopo anno risultare con cariche batteriche superiori ai limiti imposti su tratti di costa in particolare della Campania, Sicilia, Lazio e Calabria, e i monitoraggi del sistema Arpa–Ispra indicano che solo poco più del 40% delle nostre acque superficiali possono essere definite in “buono” o “elevato” stato ecologico, nel pieno rispetto della normativa europea.
Oggi è la Direttiva CEE del 21 maggio 1991, numero 271 che ci sanziona. Stabiliva ormai 32 anni fa standard comunitari per la raccolta, il trattamento di depurazione e lo scarico delle acque reflue urbane. L’Italia da allora è stata richiamata più volte agli obblighi, sia dalla successiva Direttiva Ue del 27 febbraio 1998 che dal Regolamento 1882 del Parlamento e del Consiglio Europeo del 29 settembre 2003 che ci invitava “a provvedere affinché tutti gli agglomerati urbani siano provvisti di reti fognarie…e che siano sottoposte, prima dello scarico, a trattamento”.
Ma essendo trascorsi invano oltre tre decenni senza metter mano a sistemi fognari e depurativi in un pezzo d’Italia, chiusa la stagione delle proroghe, oggi siamo agli esborsi fino al completamento delle reti fognarie e ai collettamenti ai depuratori.
L’Italia è “maglia nera” europea con ancora 895 agglomerati comunali fuorilegge, sui complessivi 3.193 agglomerati urbani nei quali rientrano tutti i nostri comuni.
A questi, corrisponde un carico generato di scarichi non trattati per 29 milioni di abitanti equivalenti, che fanno all’circa 15 milioni di italiani che vivono in oltre 2.000 comuni perlopiù medio-piccoli che adottano, consapevoli o meno, l’antica pratica medievale di scaricare in corsi d’acqua, laghi, mare, pozzi neri, campagne, fosse, foibe o dove capita.
Circa il 70% degli inadempienti cronici sono al Sud, e la metà di questi in Sicilia dove quasi ovunque ancora non si applica la legge Galli del 1996 e non si segnalano aziende e spesso nemmeno enti di governo di ambito, e i disservizi sono i peggiori d’Europa. Il restante 30% di non conformità si registra nei comuni minori del Centro e del Nord.
Le procedure di infrazione ci descrivono con aree da paese in via di sviluppo: “La Repubblica italiana non ha fatto in modo che i centri abitati fossero provvisti di reti fognarie per la raccolta delle acque reflue urbane o di sistemi di trattamento delle acque reflue urbane”.
La prima procedura 2004/2034 è scattata per la mancata applicazione della Direttiva in 109 agglomerati, e siamo già a 2 sentenze di condanna della Corte di Giustizia – nel luglio 2012 e nel maggio 2018 – che hanno decretato la prima multa da maggio 2018 con il pagamento di “una sanzione forfettaria di 25 milioni di euro e una penalità di 30 milioni di euro per ciascun semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie a garantire la piena conformità”.
Attualmente, la procedura riguarda ancora 68 agglomerati con l’assenza di 123 impianti e reti di fognatura, quasi tutti in Sicilia e in aree della Calabria e della Campania, e alcuni interventi gestiti dal Commissario Unico per la depurazione hanno solo limato la sanzione da 165.000 iniziali a 145.000 euro al giorno.
Se il primo ceffone fa molto male, è in agguato la seconda procedura d’infrazione n. 2009/2034, avviata per 28 agglomerati urbani senza depuratori. Non è stata ancora quantificata la sanzione monetaria ma c’è già stata una prima sentenza di condanna, e lo sapremo presto. Ci sono poi la terza e la quarta procedura di infrazione che riguardano complessivamente ben 606 interventi fognari e di depurazione mai realizzati in 13 regioni per agglomerati comunali oltre i 2.000 abitanti equivalenti. Siamo in fase istruttoria, ma anche per queste sono certe le nostre nuove condanne.
Eppure eravamo recidivi, e non è bastata la prima durissima lezione del 22 aprile del 1999 quando, sulla “Milano da bere”, piombò il verdetto della Commissione europea allora presieduta da Romano Prodi che, dopo molti richiami andati a vuoto, mise in mora Governo e Comune con la maxi-multa di 9 miliardi di vecchie lire al mese, 300 milioni al giorno, fino alla realizzazione dei depuratori. Milano era l’unica metropoli europea ancora del tutto priva di impianti. In realtà, erano stati promessi dal 1984, ma quasi 3 milioni di milanesi e le città dell’hinterland continuavano a scaricare tonnellate di escrementi e liquami direttamente nei Navigli, nel Seveso e nel Lambro e questi finivano nel Po e quindi nell’Adriatico. Peggio del Medioevo. Allo Stato e alla giunta allora guidata dal sindaco Gabriele Albertini, la Commissione non concesse deroghe, anche perché la gran parte dell’Italia era nelle stesse condizioni. Per quali motivi i depuratori erano solo disegnati sulla carta? Burocrazia, lentezze ma soprattutto corruzione. Anche la depurazione era finita in un giro di appalti-truffa con mazzette. Un anticipo di Tangentopoli. Il Comune aveva fatto progettare tre impianti a Milano Sud, Nosedo e Peschiera Borromeo ma la Procura aveva scoperto irregolarità nelle procedure di appalto. Sulla spinta della maximulta, iniziò la corsa contro il tempo, e a ridosso del 2005 entrarono in funzione.
Anche la carenza di depurazione soprattutto al Sud non è un problema di risorse che mancano.
Anzi, le risorse sono l’unica certezza. Già tra il 2011 e il 2012, con tre delibere CIPE, lo Stato finanziò a fondo perduto reti fognarie e depuratori per 2.416 milioni di euro alle regioni del Mezzogiorno (delibere 62/2011 per 695 milioni, 87/2012 per 121 milioni e 60/2012 per 1,6 miliardi). Risultati? Nessun risultato! Dopo un po’, per accelerare l’attuazione degli interventi, furono nominati vari commissari. Operazione fallita anche quella, di fronte al muro di gomma di regioni e comuni, in particolare siciliani. Nel 2017 i commissari furono tutti sostituiti dal Governo Renzi dal “Commissario Straordinario Unico per la depurazione”, istituito con DPCM 26 aprile 2017 “con compiti di coordinamento e realizzazione degli interventi sui sistemi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue, funzionali per garantire l’adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di Condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea”.
La struttura del Commissario Unico Maurizio Giugni ha avviato negli anni 151 interventi in 91 agglomerati, 92 in qualità di stazione appaltante e 59 coordinando soggetti attuatori. Tuttavia, l’assenza di enti di ambito e di gestori al Sud resta un impedimento. E oggi, al ritardo plateale si aggiunge anche la litigata sulle poltrone per la rinomina del nuovo Commissario Unico e dei suoi due vice. I tre nuovi nomi erano stati bollinati da Palazzo Chigi e inviati alla Corte dei Conti, ma la terna è stata fatta ritirare in fretta e furia dai ministri di Fratelli d’Italia. Risultato, resta sempre in standby la struttura commissariale finché non troveranno la famosa “quadra”, come ha denunciato Davide Faraone sollevando il caso in Parlamento con una interrogazione di Italia Viva, dopo anche le proteste dell’Ance e di associazioni di categoria.
Lo stesso “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” ha preso atto del disastro cronico del Sud e so legge: “Nella panoramica sui sistemi di fognatura, collettamento e depurazione si evidenzia il ritardo italiano con livelli vergognosi di scarichi fognari e industriali direttamente nei corpi idrici […] restano ancora clamorose le nostre omissioni… 895 agglomerati hanno violato le direttive dell’UE, con multe attualmente pagate da 68 di loro”. Traguarda obiettivi chiedendo a Regioni e Comuni del Sud di abbattere gli “ostacoli agli investimenti e rafforzare il processo di industrializzazione… al fine di azzerare il numero di abitanti (ad oggi più di 3,5 milioni) in zone non conformi”.
Nel PNRR era stato previsto l’accesso ai fondi solo sulla base dell’applicazione delle normative vigenti, a partire dalla legge Galli, con nascita di governance e operatori industriali, obbligando regioni e comuni inadempienti “entro novanta giorni” a mettersi al passo con il resto dell’Italia, concedendo ai presidenti delle Regioni “poteri sostitutivi, affidando il servizio idrico integrato “entro sessanta giorni”, e in caso di perdurante inerzia, sarebbe stato il Presidente del Consiglio ad adottare i provvedimenti necessari ad avviare la “gestione del servizio idrico integrato in via transitoria per una durata non superiore a quattro anni, comunque rinnovabile”. Ma dal PNRR non arrivano segnali di svolta. Mentre l’inquinamento diventa sempre più un elemento stabile dei nostri paesaggi, talmente stabile che non ci si fa più caso. E questo è il danno peggiore al nostro meraviglioso Paese.
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