“L’estate è senza dubbio il momento peggiore per i detenuti: in 12 o 13 persone in celle strettissime, fa caldissimo, non ci sono ventilatori o frigoriferi. Non c’è aria, è come l’inferno. E io che sono stato un detenuto lo so bene. Per questo sono sceso in piazza per protestare, per dare voce a chi sta in carcere e non può dire niente”. E questo che ha detto un ragazzo di 30 anni, arrivato fuori al carcere di Poggioreale per protestare contro le condizioni che definisce “disumane” in cui vivono i detenuti. Suo padre è attualmente ristretto nel carcere napoletano e lui non si dà pace: conosce bene cosa significa essere ristretto nel carcere più sovraffollato d’Europa. Ed è proprio lì che si è radunato un gruppo di altri familiari dei detenuti delle carceri di tutta Italia sono accorsi al grido di “dignità” per i detenuti i tutte le carceri. Al loro fianco, in marcia, il Garante dei detenuti della regione Campania, Samuele Ciambriello e quello del Comune di Napoli, Pietro Ioia.

“Famiglie dei ristretti in movimento – siamo la voce dei detenuti”, è lo striscione che ha aperto il corteo che dai cancelli del carcere si è spostato lungo tutto il perimetro del penitenziario. Una protesta pacifica per far accendere i riflettori sulla tutela dei diritti umani delle persone ristrette in tutta Italia perché “uno ha sbagliato, ha fatto un reato e deve pagare per questo, ma con dignità”. “D’estate stanno in mezzo alle blatte e ai topi”, dice una mamma preoccupata per il figlio ristretto in un carcere del nord. “Ieri mio marito mi ha chiamata dal carcere e mi ha detto che faceva un caldo micidiale, non si può vivere così…è dura”, dice un’altra signora arrivata da Brindisi per protestare senza riuscire a trattenere le lacrime.

“In carcere petto di pollo a peso d’oro”

“Abbiamo diritto solo a una chiamata di 10 minuti che se hai protestato o fatto qualcosa non ti fanno nemmeno fare – continua la signora di Brindisi – Hanno sbagliato e devono scontare una pena ma umanamente. Qui invece vivono come gli animali”. C’è anche un altro problema che scalda gli animi dei familiari: i costi in carcere. “Un pacco di piatti di plastica in carcere costa 7 euro – dice la mamma di un altro detenuto – Hanno comprato di tasca loro i ventilatori, pagandoli 20 euro e poi devono pagare 3 euro al mese per la corrente”. “Mio figlio è detenuto in un carcere al Nord Italia – continua un’altra mamma – un petto di pollo è arrivato a costare 17 euro. Poi dicono che un detenuto costa allo Stato 150 euro al giorno. Ma da mangiare è sempre poco”.

“Il detenuto e i suoi familiari sono solo numeri di matricola”

Non c’è più l’essere umano nel carcere – dice una ragazza ventenne con uno striscione in mano – è solo un numero di matricola”. “Anche noi familiari lo diventiamo – le fa eco un’altra ragazza – Sappiamo che la penitenziaria sta in affanno però ogni volta per fare 1 ora di colloqui arriviamo in carcere alle 8 e andiamo via alle 3. Ore e ore in attesa. Anche la distanza materiale fa il suo nel rendere la vita di detenuti e i loro familiari sempre più difficile. La territorialità della pena in Italia sembra un lusso per pochi. Succede così che la signora Paola di Catania debba percorrere ogni mese 580 chilometri per andare a trovare per un ora il marito ristretto in Calabria: “Porto con me i nostri figli piccoli per salutare il padre, anche questo trauma devo fargli subire – dice – Poi lo stress di dover stare chiusi in quella stanza…per i bambini è una grossa sofferenza”.

“Per un detenuto è impossibile trovare lavoro una volta uscito dal carcere”

“In carcere li tengono in brandina, giornate intere seduti senza far nulla – dice la mamma anziana di un detenuto – Che riabilitazione è questa? Usciranno e nessuno gli vorrà dare un lavoro perché hanno precedenti penali. E che faranno? Hanno famiglie, per vivere dovranno andare a delinquere nuovamente?”. C’è anche chi invece ha deciso di investire il tempo della prigione per migliorarsi e laurearsi. “Mio figlio a Genova frequenta l’Università – racconta una mamma – gli abbiamo portato un pc che gli serviva mesi fa. Gli hanno disattivato tutte le connessioni e quello che va disabilitato. Ma ancora non glielo danno. Perché? È una persona che sta facendo di tutto per cambiare”.

“In cella niente frigoriferi e ventilatori”

Alcuni dei familiari dei detenuti denunciano che nelle roventi celle affollate di Poggioreale non ci sono né ventilatori né frigoriferi. “I familiari portano ai loro cari il cibo – dice Pietro Ioia – ma poi va quasi tutto buttato perché in assenza di frigorifero va tutto a male. Abbiamo organi8zzato una raccolta e presto consegneremo frigoriferi e ventilatori”. “Da qui, da Poggioreale, abbiamo lanciato un messaggio per attirare l’attenzione su tutte le carceri – ha detto Samuele Ciambriello – Pochi spazi di vivibilità, poche misure alternative, pochi spazi di lavoro. Il Governo almeno facesse la liberazione anticipata di 70 giorni e 70 giorni. Noi che siamo liberi abbiamo avuto i ristori, loro niente. La politica rifiuta la parola indulto, dovrebbe recuperare la parola dignità”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.