Studiare in carcere non è cosa ben gradita perché si rischia di affinare alcune peculiarità e reiterare condotte illecite. E’ quanto emerge dalle motivazioni del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che ha rigettato la richiesta di differimento della pena avanzata dal legale di un detenuto all’inizio del primo lockdown (2020). Istanza presentata a causa di motivi di salute e respinta dai magistrati del capoluogo emiliano con una frase che lascia interdetti: “La laurea conseguita durante la detenzione e la frequentazione di un master per giurista di impresa ove si consideri la sua personalità per come emerge dalle relazioni di sintesi, si ritiene possano aver affinato le sue indiscusse capacità e gli strumenti giuridici a sua disposizione per reiterare condotte illecite in ambito finanziario ed economico, che possono essere svolte anche se ristretto in detenzione domiciliare”.

A raccontare la vicenda è il settimanale L’Espresso secondo cui il detenuto, complice anche l’inizio della pandemia, aveva richiesto un differimento della pena sulla base di un’asserita situazione di fragilità sanitaria che lo rendeva particolarmente esposto alle conseguenze di un eventuale contagio. Da qui la richiesta del passaggio agli arresti domiciliari, negata dal Tribunale di Sorveglianza che tra le motivazioni alla base del rigetto ha anche battuto sulla pericolosità dell’istruzione perché considerata come fattore potenzialmente pericoloso in grado di affinare la capacità criminale della persone detenuta, esperta in reati economico-finanziari.

Parole che hanno indignato il Dipartimento universitario dove il giovane detenuto ha studiato con giuristi e docenti. Ma non solo. Anche il presidente merito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, insieme all’avvocata Francesca Cancellaro, hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 2 del primo protocollo integrativo della Convenzione, che prevede il diritto allo studio, e di altri articoli.

 

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