L'opportunità da valorizzare
Studiare in carcere per il riscatto, viaggio nel polo universitario penitenziario di Secondigliano: “Non li abbandoniamo dopo la laurea”
Il riscatto può passare (anche) per una laurea. Così l’esperienza della reclusione in carcere può avere un senso, il senso che la Costituzione le attribuisce, quel senso troppo spesso rimasto solo sulla carta perché nei fatti il carcere è ed è stato soltanto reclusione e privazione. In Campania il percorso del riscatto attraverso lo studio è cominciato circa quattro anni fa nel polo universitario penitenziario del carcere di Secondigliano. A breve ci saranno i primi laureati. «Da un monitoraggio annuo i dati a livello nazionale, e in particolare quelli di Napoli, sono dati importanti», spiega Marella Santangelo, ordinario di Composizione architettonica e urbana all’università di Napoli Federico II, delegata al Polo universitario penitenziario (Pup), e componente della Commissione per l’architettura penitenziaria voluta dal Ministero della Giustizia.
«I numeri – aggiunge – parlano e raccontano che ci sono quasi cento studenti detenuti, che sono attivi otto corsi di laurea ai quali dal prossimo anno si uniranno due corsi professionalizzanti del Dipartimento di ingegneria che daranno agli studenti una proiezione significativa». Uno dei nuovi corsi sarà in Meccatronica, l’altro in Tecnologie digitali per le costruzioni. Torniamo ai numeri: nell’anno accademico 2020-2021, a livello nazionale, si sono contati 1.246 detenuti che hanno scelto di iscriversi a corsi del polo universitario penitenziario. In prevalenza sono uomini. Si contano infatti 1.201 studenti tra la popolazione detenuta maschile e 45 studentesse tra le detenute. Motivo? «Le donne delinquono meno – spiega la professoressa Santangelo – e tra le donne detenute il livello culturale è particolarmente basso, le diplomate sono pochissime». Tra i detenuti studenti, 449 provengono da carceri ad alta sicurezza mentre 33 sono in regime di 41bis. In Campania ci sono 102 studenti detenuti, più quelli che nel frattempo sono tornati in libertà e che, come previsto dalla convenzione con il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, possono godere delle stesse agevolazioni degli studenti ancora detenuti. Per numero di studenti detenuti la Campania è la seconda d’Italia, preceduta solo dalla Lombardia che ha 127 studenti in carcere. Tra i 102 studenti campani, 50 si trovano in regime di alta sicurezza e 13 sono attualmente in esecuzione penale esterna.
I numeri descrivono una realtà virtuosa ma anche complessa. Perché gestire i corsi all’interno di un carcere non è cosa semplice, come non è semplice studiare in cella. Gli spazi della pena non sono adeguati. Non lo sono per la vita quotidiana in cella, figuriamoci per la vita da studente universitario. È anche per questo che per il momento i corsi del polo universitario penitenziario si tengono nell’istituto di pena di Secondigliano. «Il nostro obiettivo è seguire gli studenti anche dopo – racconta la professoressa Santangelo – . Non possiamo pensare che, dopo laureati, vengano abbandonati». Creare un ponte tra il mondo di fuori e quello dietro le sbarre è utile anche in questo caso. Rieducare i detenuti attraverso lo studio deve voler dire anche dare loro una prospettiva di futuro. Certo, dipende molto anche dall’età di ciascuno studente detenuto.
Tra coloro che studiano in carcere ci sono studenti di tutte le età, dai neodiplomati ad uomini di sessant’anni. «In generale sono persone che fanno seriamente, la loro scelta di studiare è dettata da volontà e curiosità – spiega la docente referente del polo universitario penitenziario – . Si tratta di persone che hanno un vissuto impegnativo». I docenti non conoscono nel dettaglio la storia detentiva e giudiziaria dei loro studenti in carcere. Quando si studia si è semplicemente studenti. «Sono persone che stanno ragionando sul loro passato e che con quel passato ci fanno i conti. Penso – conclude Santangelo – che questo debba far riflettere il Ministero e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Non è un passaggio obbligato, quello di iscriversi ai corsi universitari. Non c’è alcun automatismo».
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