"Trump? Con quella foto ha annullato la sua presunta influenza"
Diotallevi: “Non vedremo un altro Papa Francesco ma nel Conclave latitano cardinali di punta. Chiesa più attenta alle divisioni interne che al mondo”
Riflessione sulle priorità relative al presente Conclave con il sociologo e scrittore autore di La messa è sbiadita

Il sociologo e scrittore Luca Diotallevi – fra le sue pubblicazioni più recenti, Il paradosso di Papa Francesco (2019) e La messa è sbiadita (2024), edite da Rubbettino – riflette sulle priorità relative al presente Conclave, che vede riuniti 133 elettori da tutto il mondo, con un quorum di almeno 89 voti necessario per l’elezione del successore di Papa Francesco.
È cominciato il Conclave: alcuni manifestano fiducia che si possa eleggere il nuovo pontefice entro domani altri esprimono riserve, vista la multipolarità dei cardinali. Lei cosa si aspetta?
«In questo momento non considererei il numero di scrutini necessari all’elezione del nuovo Papa il problema principale. Credo che, posti i giusti limiti, sia più importante la qualità della decisione della rapidità della stessa».
La Chiesa appare spaccata fra progressisti e conservatori. Quale dei due orientamenti potrebbe prevalere?
«Credo che la divisione tra progressisti e conservatori sia reale ma, al contempo, superficiale. Al fondo, assistiamo a una distinzione più incisiva. La Chiesa, da sempre, ha mantenuto un meccanismo di bilanciamento tra carisma e ufficio, tra logiche di leadership e istituzionali, che ha caratterizzato un cammino impegnativo, fatto di rinnovamento. Dall’elezione di Wojtyla ha prevalso un’opzione nettamente favorevole al carisma. Da questo punto di vista, pontefici come Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio, prima ancora di identificarsi come progressisti o conservatori su un tema piuttosto che un altro, sono stati espressione – alimentandola – di una scelta carismatica. Il problema è che questo criterio di scelta non ha prodotto gli effetti sperati, quindi, a mio avviso, il bivio su cui si trovano adesso i cardinali del Conclave – e la questione principale su cui dibattere – è se proseguire su questa strada o ritrovare un equilibrio che includa le istituzioni e le cure atte a mantenere intatta l’unità della Chiesa».
A suo avviso, il nuovo pontefice segnerà una continuità con il tracciato di Bergoglio o esprimerà una netta cesura?
«Direi che se i numeri dovessero parlare da soli l’ipotesi della continuità sarebbe la più probabile, in quanto la stragrande maggioranza dei cardinali è stata selezionata da Bergoglio; tuttavia, il modo di procedere di Papa Francesco, assolutamente non sistematico, determina che tale potenziale maggioranza non sia assolutamente risolutiva. L’esito che potrebbe delinearsi sarebbe una sorta di equilibrio fra gli oppositori di Bergoglio – ben organizzati ma pochi – e coloro che ne sono espressione – molti ma disorganizzati. Mi sembra tuttavia improbabile una replica di Papa Francesco».
Il presidente statunitense Donald Trump posta su Truth una sua immagine, – modellata dall’IA – in cui indossa le vesti di pontefice, criticata anche dal clero americano. Una boutade evitabile?
«Certo. Della persona fa parte un’ostentazione dell’esagerazione che ritengo benvenuta, nel senso che svolge una funzione autolesionista. Se per caso – ma non credo – Trump avesse un’effettiva influenza su una certa quota di cardinali, con un’uscita di questo genere si sarebbe alienato una buona parte di essi».
Ha in mente qualche candidato che potrebbe rappresentare un potenziale successore di Papa Francesco?
«Non saprei dirle, poiché in questo Conclave latitano personalità di punta. Faceva parte dei Conclavi del 2005 e del 2013 un gruppo di cardinali di notevole statura – basti pensare a Martini e Ratzinger – mentre noi, in questo momento, non ci troviamo in una situazione simile. Non mi pare che vi siano uno o più candidati scontati».
Quali saranno, secondo lei, le problematiche più urgenti, in relazione al contesto geopolitico, con cui dovrà confrontarsi il nuovo vescovo di Roma?
«Ho la sensazione che i vertici ecclesiastici guardino più verso l’interno che verso l’esterno, ovvero in direzione di una riflessione geopolitica propria della generazione di Papa Paolo VI. Scorgo una Chiesa più attenta alle divisioni interne che non al contesto globale».
Quale rappresenta, a suo avviso, il retaggio più significativo di Papa Francesco?
«Rimanendo a Paolo VI, mi preme rimarcare come egli portò avanti una mole di riforme – specialmente nel biennio 1967-69 – davvero significativa, mentre nei pontificati successivi non abbiamo assistito a nulla del genere. Bergoglio ha avviato almeno alcuni processi positivi che sarà difficile arrestare, fra cui la sinodalità e l’attenzione verso la condizione della donna nella Chiesa».
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