Balcani, terre d'Europa
Djellza Mustafa-Trolli, intervista all’attivista kosovara sul mancato dialogo con la Serbia

Quello di oggi è un articolo particolare. Si tratta infatti di un’intervista a un’attivista kosovara, appassionata europea, che è anche la mia insegnante di albanese.
Djellza Mustafa-Trolli è studentessa di un master in Relazioni internazionali: Sicurezza, Pace, Conflitti. Nonostante sia cresciuta in Francia dall’età di 8 anni, ha mantenuto forti legami con le sue radici e continua a promuovere il Kosovo attraverso diverse attività. È molto appassionata di politica e odia le ingiustizie. Per questo motivo, non può rimanere in silenzio sulla situazione attuale.
È un’ottima testimone per rispondere a domande concrete sull’attuale situazione tra Kosovo e Serbia e su come dovrebbe trasformarsi il dialogo fra i due paesi per poter essere efficace.
Come hai iniziato a farti coinvolgere di più nella politica?
Ricorderò sempre un incontro con lo psicologo al liceo. Mi ero persa, non sapevo cosa fare esattamente per i miei studi all’Università. Sono andato a trovarlo, stavo piangendo per la mia confusione. Così ha detto di mostrargli i miei voti. E mi disse che avevo il profilo migliore per fare scienze politiche. Amo davvero la storia, la matematica e le scienze e capire il mondo che mi circonda. Mi sono impegnata in questioni che contavano per me, come essere vegetariana. Ho studiato a Lille, scienze politiche e mi piaceva ciò che stavo imparando. Al liceo è un modo completamente diverso di trasmettere conoscenza, mentre a Lille ricevevo conoscenze scientifiche.
All’epoca non ero affatto coinvolta nella politica kosovara. Il punto di svolta è stato quando Lëvizja Vetëvendosje (LV) ha vinto le elezioni (novembre 2019). Era la prima volta che un nuovo partito vinceva le elezioni. Ho iniziato a interessarmi, è stato un grosso cambiamento. “La sinistra che vince le elezioni è sempre qualcosa di speciale, credo, specialmente nei Balcani”. Volevo saperne di più su chi fosse Albin Kurti. Ho iniziato ad interessarmi alla politica kosovara. Poi sono stata coinvolta, e ho iniziato a conoscere il popolo albanese in Kosovo. Stavo cercando di imparare la mia storia. C’è questa paura della politica, ma volevo fare qualcosa, volevo aiutare il mio paese.
Cosa ti piace di più in/del Kosovo?
Le persone. Ho lavorato nell’ufficio del Primo Ministro, ho lavorato per le comunità e ho incontrato molte persone. Le persone in Kosovo sono molto generose, gentili, trovano soluzioni per chiunque. Ora che ci ho lavorato, ho un’altra prospettiva. I miei colleghi sono diventati come una famiglia perché è così che interagiscono le persone del Kosovo. Visitavamo le ONG delle comunità (serbi, bosniaci, rom, turchi) ed era fantastico perché avevamo sempre lo stesso spirito. Vivere insieme è fantastico. Sono di Prizren e non abbiamo mai avuto problemi con differenze etniche.
Non è importante sapere a quale religione le persone appartengano, non facciamo mai quella domanda, ci si sente liberi di fare tutto ciò che si vuole, con sé stessi e le proprie convinzioni.
La vita stessa a Pristina ha un’altra atmosfera. Mi sentivo in Kosovo, ma anche non in Kosovo. Pristina è speciale in tanti modi. I giovani erano molto attivi, si svolgevano molte attività culturali e sociali. Una città viva in cui non ci si annoia mai.
Come valuti l’attuale situazione in Kosovo?
Non ho la possibilità di essere presente e di vedere di persona cosa sta succedendo veramente in Kosovo, ma quest’estate, subito dopo le elezioni con le tensioni nel nord, mi sono recata a Mitrovica. Ci sono arrivata portandomi dietro i miei cliché, i miei pregiudizi. Ho attraversato il ponte, ci siamo incontrati con la comunità serba in Comune per discutere di ciò di cui hanno bisogno. Ho pensato: “Ok, è davvero normale”. Non ho visto tensioni lì, nei mesi di luglio e agosto, sebbene sapessimo di dover essere prudenti.
Ora la situazione è grave per il Kosovo. È stato sanzionato per meno (magari ripetere per cosa?) di quanto fatto ora dalla Serbia. Si tratta di una sanzione sproporzionata. La sovranità del Kosovo è stata violata dall’attacco terroristico, e il problema principale è che non tutti i paesi dell’Unione europea lo riconoscono, non ne parlano nemmeno. Ma c’è stato un attacco terroristico, probabilmente con il coinvolgimento di autorità serbe. Per questo motivo è importante ora mostrare più sostegno al Kosovo.
Cosa ti preoccupa di più?
In primo luogo, che l’UE insista ancora sull’attuazione dell’associazione dei comuni serbi. Questo mi preoccupa maggiormente perché non vogliamo davvero un’altra Republika Srpska. La Republika Srpska in Bosnia-Erzegovina destabilizza il paese ed impedisce un sistema decisionale più semplice. E anche se non è quella l’intenzione della proposta, alla fine probabilmente si realizzerà in questo modo, con il controllo diretto del presidente serbo Aleksandar Vucic.
Temo anche che ci possa essere perfino una nuova guerra, perché la Serbia ha inviato truppe al confine. Il timore della guerra potrebbe diventare realtà, se l’azione di Vucic non verrà controllata. Temo un nuovo periodo instabilità da questi tentativi di interferenza, se non vengono decisamente condannate dall’UE e dalla Comunità internazionale.
Com’è la situazione dei serbi del nord?
Ciò che si dice mi pare molto esagerato. Lavoravo per le comunità e conosco come l’ufficio del Primo Ministro stia dando importanza alle Comunità. Organizzano riunioni quando vogliono sentire qualcosa da loro. Il problema è che la comunità serba ha paura, non tanto del governo kosovaro, ma piuttosto di quello serbo, di Belgrado. Non vogliono parlare per paura di molestie da parte del governo serbo. Per fare un esempio concreto, nel nord del Kosovo il governo kosovaro ha creato una nuova piattaforma per trovare lavoro.. Il governo kosovaro sta facendo in modo che almeno il 20% delle persone si avvalga di queste piattaforme. Il 20% è molto più dell’attuale percentuale di persone appartenenti alle comunità. Il governo sta facendo quindi un grande sforzo per le comunità e per i serbi.
Inoltre esiste anche la questione degli albanesi in Serbia, a cui vengono negato i loro diritti come minoranza – è una questione che va legata a questo discorso.
Come valuti la risposta dell’UE?
Credo che la risposta dell’UE non sia stata corretta. In Kosovo, siamo così favorevoli all’Unione europea, e stiamo cercando di adattare tutti i criteri per essere candidati. Mentre noi ci muoviamo in questa direzione, il presidente serbo Vucic rafforza invece i rapporti con la Cina senza nemmeno cercare di nascondere che non è più interessato all’Unione europea. E a noi non viene riconosciuto il nostro impegno.
Quando ho letto la relazione annuale dell’Unione europea sul progresso delle riforme in Kosovo mi sono arrabbiata perché non riconosce che stiamo facendo un ottimo lavoro per creare una società che includa tutti, anche migliore di altri paesi, ad esempio la Francia rispetto i musulmani.
Cosa manca, a tuo avviso, nel dialogo tra Kosovo e Serbia?
Equità. Prima di tutto, servirebbero mediatori davvero neutrali.
Dobbiamo smetterla di pensare che lo status quo sia un’alternativa valida a cambiamenti seri. Non possiamo continuare a sostenere regimi autoritari che promettono stabilità, ma questa, in verità, non è sostenibile.
L’Unione europea deve essere più preoccupata per la giustizia che per la stabilità. l’attuale strategia non funziona, perché non abbiamo mai avuto tensioni così forti dal 2008 ad oggi.
Quali sono stati i principali errori del governo del Kosovo?
Un grosso errore è stato firmare l’accordo per l’Associazione delle Municipalità serbe nel 2013. Questo non sarebbe mai dovuto accadere.
È difficile parlare degli errori del governo attuale: è difficile perché il governo deve reagire, agire e mantenere ferma la sua posizione, quella di rispetto della propria sovranità territoriale, altrimenti è in gioco l’esistenza stessa del Kosovo. Il Kosovo non può permettersi di dare territorio o sovranità alla Serbia.
Quali sono stati i principali errori del governo serbo?
Innanzitutto, non riconoscere il Kosovo.
La lista degli errori, dal mio punto di vista, è lunga. Sicuramente l’errore più importante è legato al non-riconoscimento del Kosovo.
C’è una speranza che il dialogo prosegua?
Come può esserci ancora un dialogo, quando la Serbia non si preoccupa nemmeno dell’attacco terroristico? La Serbia non ha nemmeno riconosciuto l’attacco terroristico; anzi Vucic ha ordinato un giorno di lutto per i terroristi.
Come può esserci un dialogo quando sul punto principale le due parti hanno posizioni completamente opposte, e quando una parte non riconosce nemmeno l’altra?
Il dialogo non può continuare così. So bene per quale motivo l’Unione europea non vuole trattare lo status definitivo del Kosovo nel dialogo (cinque paesi membri dell’Unione europea ancora non riconoscono il Kosovo); quindi l’Unione europea vuole che il dialogo avvenga perché è il modo migliore per mantenere lo status quo. Ma non si può avere una normalizzazione delle relazioni se non si ha un Kosovo normale e una Serbia normale. E proprio ora, “la Serbia non rientra nella normalità” – chiesta dall’Unione europea ma anche necessaria per condurre un dialogo simile.
Quali sono, a tuo avviso, le prossime iniziative che l’UE dovrebbe intraprendere?
Rimuovere le sanzioni dal Kosovo. Imporre sanzioni alla Serbia.
Parlare anche degli altri accordi che non sono stati attuati e non solo dell’associazione delle Municipalità serbe.
Cosa potrebbe succedere se il dialogo si concludesse?
Sarebbe molto problematico perché l’Unione europea è l’unica mediatrice e ne abbiamo davvero bisogno. Una risoluzione delle Nazioni Unite (1264) rende infatti l’Unione europea unica mediatrice in questo dialogo. In questo senso è difficile rispondere alla domanda. Se l’UE decidesse di porre fine al dialogo, gli Stati Uniti farebbero pressioni sull’UE per non fermarlo. Si tornerebbe alle Nazioni Unite? Non lo so. Gli Stati Uniti e l’UE collaborano in questo senso. È impossibile per gli Stati Uniti assumerne il controllo perché abbiamo bisogno di loro dalla parte del Kosovo, e quindi non possono essere neutrale. L’UE deve essere invece neutrale: d’accordo imporre sanzioni al Kosovo per non aver rispettato gli accordi, ma allo stesso modo imporle alla Serbia per non aver rispettato gli stessi accordi.
Forse gli Stati Uniti capiscono che l’UE non è neutrale. Avremmo dovuto ascoltare il Kosovo e non dialogare con un’Unione europea così debole. La Serbia ha la Russia, che sostiene la Serbia. Il Kosovo é solo.
Dove vedi il Kosovo tra dieci anni?
Spero che non sarà dove si trova adesso. Vorrei che il Kosovo facesse parte dell’ONU, del Consiglio d’Europa, dell’Unione europea e della NATO. Il Kosovo dovrebbe essere pienamente riconosciuto come Stato indipendente, in modo che le persone potranno viaggiare facilmente e non sentirsi chiuse nel proprio paese a causa del loro strano passaporto non riconosciuto ovunque. In dieci anni, se continua così com’è, vedo uno Stato davvero democratico, con valori forti, e tutti che vivono in pace insieme, “come già fanno”.
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