Le elezioni regionali e il referendum sul taglio dei parlamentari hanno impresso una forte accelerazione al rinnovo dei vertici degli apparati di sicurezza. Nonostante il premier Giuseppe Conte continui a ostentare grande tranquillità, un sempre più probabile risultato “infausto” alla prossima tornata elettorale, stando agli ultimi sondaggi, potrebbe mettere in forte dubbio la permanenza dell’avvocato del popolo a Palazzo Chigi. Ecco, quindi, spiegata la necessità di fare in fretta e di evitare che queste nomine possano essere effettuate da un futuro governo. Ad esempio di grande coalizione. Ad accendere i riflettori sulle “barbe finte” è stata in questi giorni la posizione di Marco Mancini, l’ex brigadiere dei carabinieri del Reparto operativo di via della Moscova a Milano. Il suo nome gira come prossimo vice del direttore dell’Aise Giovanni Caravelli. Mancini ha trascorso quasi tutta la carriera nell’intelligence ed è unanimemente riconosciuto come uno dei migliori agenti segreti ora in servizio.

Già direttore delle operazioni del Sismi durante la gestione di Nicolò Pollari, venne arrestato un paio di volte dalla Procura di Milano nell’ambito delle indagini sul “rendition” dell’imam egiziano Abu Omar e sullo spionaggio da parte di Telecom. Attualmente Mancini è al Dis, l’ufficio che coordina le due Agenzie di sicurezza, dove ha coltivato un ottimo rapporto con il direttore Gennaro Vecchione, un altro generale della guardia di finanza come Pollari. Vecchione è legatissimo a Conte e questo potrebbe essere un vantaggio per Mancini. Contro la promozione di Mancini si è già schierato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini (Pd). Mancini, comunque, ha da tempo coltivato un ottimo rapporto con il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo (M5s), che ha nella sua segreteria un altro carabiniere, il colonnello Fabrizio Garetto.

Per il posto di vice di Caravelli è in pista anche il consigliere militare di Conte, l’ammiraglio Carlo Massagli. Un’altra candidatura, tutta interna all’Aise, è invece quella del generale Luigi Della Volpe, attuale responsabile della controproliferazione, fortemente sostenuta da Guerini. Non dovrebbero esserci problemi per la proroga di un altro carabiniere, il generale Mario Parente, direttore dell’Aisi. Oltre ad essere apprezzato dal Pd è ben visto dal Quirinale. Le nomine dei Servizi aprono la partita più importante, quella per il nuovo comandante generale dell’Arma.Il mandato di Giovanni Nistri scadrà il prossimo gennaio. A differenza di quanto accaduto per i suoi predecessori, Leonardo Gallitelli e Tullio Del Sette, l’incarico non è prorogabile in quanto servirebbe una modifica legislativa ad hoc. Al momento per la successione pare essere in pole Teo Luzi, capo di stato maggiore, e fedelissimo di Nistri. Luzi ha già raccolto il placet delle forze politiche di maggioranza e opposizione, essendo stimato sia da Guerini che da Giancarlo Giorgetti, il plenipotenziario della Lega. Luzi ha conosciuto entrambi quando era comandante della Legione Carabinieri Lombardia e ha sempre mantenuto con loro buoni rapporti. Guerini è di Lodi, città di cui è stato anche sindaco, Giorgetti è di Varese.

Lo sfidante Angelo Agovino può contare solo sull’appoggio del corregionale Luigi Di Maio (M5s). Poche le possibilità, nonostante il curriculum, per i generali Gaetano Maruccia ed Enzo Bernardini. La scelta di Luzi potrebbe essere però foriera di nuove polemiche. Luzi, infatti, è diventato generale di corpo d’armata quest’anno. In caso di nomina “scavalcherebbe” colleghi con una maggiore anzianità di grado. Per la nomina a comandante generale il requisito dell’anzianità non vale, trattandosi di un incarico assolutamente discrezionale da parte del governo. Il momento storico è favorevole a Luzi.

Oltre alla “congiuntura” politica, tutti d’accordo sul suo nome, ci sono anche i media che hanno da settimane completamente dimenticato lo scandalo della caserma di Piacenza con la maxi retata dei carabinieri. Un episodio che poteva compromettere l’immagine dei vertici di viale Romania e che è stato prontamente rimosso. Per Nistri, esclusa dunque una proroga, si prefigurerebbe un incarico di vertice al ministero dei Beni culturali dove, rimpasto elettorale permettendo, ritroverebbe Dario Franceschini (Pd) che lo aveva voluto a suo tempo come manager del progetto Grande Pompei.