Il dilemma sembra essere più dei parlamentari semplici, i cosiddetti “peones” – e quindi dei loro leader di partito – che del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Se il premier passa e arriva al Quirinale, 13esimo Presidente della Repubblica: “che fine facciamo noi?”. Il pericolo di un governo da rifare, il rischio delle elezioni di un Parlamento che ha decretato la sua riduzione – da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi – è la Spada di Damocle.

Si vocifera nei corridoi, in Transatlantico, che se solo l’ex governatore della Banca Centrale Europea, li avesse rassicurati, dato loro una garanzia, a questo punto si sarebbe a un altro punto. E invece Draghi non avrebbe schiodato dalla formalità, dal non indicare alcun successore – nelle settimane scorse si era diffusamente parlato del ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao e della ministra alla Giustizia Marta Cartabia -, dal non aderire a quelle procedure della politica. Non avrebbe schiodato nonostante gli incontri con tutti o quasi i leader politici. E le telefonate.

Su tutte quella di ieri, con il fondatore e leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, da domenica scorsa ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano: “Una cortese telefonata nella quale Draghi ha formulato i migliori auguri di pronta guarigione. Nel corso del colloquio non è stato affrontato alcun tema politico”. Altra telefonata, riportata da Il Corriere della Sera ma smentita, con il leader di Italia Viva Matteo Renzi: l’ex premier avrebbe consigliato al premier di lanciare un segnale politico, magari nominando un vice premier per rassicurare i partiti.

Di Draghi si parla da giorni – anzi da mesi, predestinato – convitato di pietra anche quando si parla di altri candidati: mai davvero protagonisti. L’asse avverso sembra, dai retroscena, definito: Salvini-Berlusconi-Conte. Nessuno mette veti, dicono, ma nessuno scioglie la fantomatica riserva. E quindi si va per Maria Elisabetta Alberti Casellati per il centrodestra, il centrosinistra astenuto, la seconda votazione di giornata oggi pomeriggio, forse la settima e l’ottava di domani. Sempre con lo spettro di Draghi che Salvini e Tajani e Conte vedono meglio “dove sta”. Il rischio, da gioco dell’oca, sarebbe quello di un premier ai saluti, nel caso di impallinamento da parte della stessa maggioranza che l’anno scorso lo aveva incoronato a guida dell’esecutivo di “unità nazionale”.

“Se non eleggiamo Draghi ora, quanto è alto il rischio di perderlo dopo? Io mi faccio queste domande”, il dilemma espresso dal governatore della Lombardia Attilio Fontana, citato da Il Foglio, con quelli del Veneto Luca Zaia e della Liguria Giovanni Toti. A far lievitare le paure dei parlamentari con un infausto paragone il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio: “L’ho paragonato a Schettino (comandante della Costa Concordia, ndr), perché i partiti gli dicono di restare a bordo e lui vuole scappare, tanto più in una situazione come questa”. E invece il retroscena de Il Foglio: secondo il quotidiano da Palazzo Chigi “garantivano, anche per sgomberare l’idea che si è gonfiata, quella di un premier che ‘se non eletto ribalterebbe il tavolo’, che mai e poi mai lo farebbe e che accettando l’incarico di premier, lo abbia accettato con questa inclinazione: ‘Farò quello che il Paese mi chiede di fare’”.

Ovvero il remake della conferenza stampa di fine dicembre: “I miei destini personali non contano assolutamente niente. Non ho particolari aspirazioni di un tipo o dell’altro, sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni” e che “la responsabilità della decisione è interamente nelle mani delle forze politiche, non nelle mani di individui: sarebbe un fare offesa all’Italia, che è molto di più di persone individuali”. Draghi o non Draghi, resta il dilemma.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.