Lamberto Dini, 91 anni, ci riceve nel suo nuovo appartamento romano. Ha traslocato da poco, c’è ancora qualche scatolone imballato. Finita la rassegna stampa del mattino, sposta una piletta di libri per fare spazio alla pagina del Financial Times che ha ritagliato: raffigura un Draghi perplesso. Dini lo ha avuto come consigliere ed amico. Così come Amato e Casini. L’ex premier, ex ministro degli Esteri, ex Direttore generale di Bankitalia, ex fondatore di Rinnovamento Italiano e della Margherita è un instancabile osservatore delle grandi manovre. E sul Quirinale prova a fare un pronostico ragionato.

Grand Hotel Quirinale, tutto un vai e vieni di nomi. Ci traccia una sua ipotesi di scenario?
È il Parlamento che deve decidere, non ci possono essere candidati. Una personalità può essere soltanto scelta, e i contatti altalenanti tra le parti non aiutano. Per trovare una maggioranza necessaria bisogna che le parti convergano verso il centro: un nome molto di parte non passa. Bisogna che sia una personalità condivisa, altri nomi oltre a quelli fatti possono apparire anche domani (oggi per chi legge, ndr). Dal caos apparente, spesso si arriva a una soluzione in poche ore.

Ha in mente un nome?
Ho parlato di Pierferdinando Casini già da tempo. È al centro degli schieramenti politici, ha il profilo giusto. I nomi che ha fatto il centrodestra servono a rappresentare un posizionamento di bandiera, poi da lì si deve lavorare per la convergenza necessaria: il Presidente della Repubblica incarna l’unità nazionale.

E se fosse Casellati? Il nome su cui preme Salvini è quello della presidente del Senato.
Non credo che raccoglierebbe consensi sufficienti, per la semplice ragione che è espressione di Forza Italia. Le sue idee politiche non le conosciamo a fondo. E i senatori, quanto la apprezzano? Questo è un altro interrogativo.

Poi ci sarebbe Giuliano Amato.
Molto apprezzabile, forse più inviso alla destra. Ecco perché alla fine Casini può spuntarla su tutti.

Marta Cartabia?
È un nome che gira, anche perché tenuta sempre in grandissima considerazione dal Presidente Mattarella. Ma non ha la necessaria esperienza di governo, ha fatto solo ora la Ministra, in qualche modo ha una azione non universalmente nota e apprezzata. Se l’accordo politico non si trova, credo che la soluzione Draghi sarebbe nell’interesse della nazione.

E i partiti faranno un passo indietro?
Dovrebbero, a quel punto. Perché ha grande credibilità, autorevolezza internazionale, grande esperienza nel trattare con le cancellerie e i leader europei e mondiali. Averlo al Quirinale sarebbe una garanzia per gli italiani per sette anni di stabilità.

Ma non c’è invece un clima di riappropriazione della politica da parte dei partiti, e quindi una qualche ingratitudine verso Draghi?
Sì, infatti. Lo si considera un tecnico, ma un tecnico che si è occupato delle grandi questioni politiche ed economiche. Se rimane a Palazzo Chigi, nell’ultimo anno di legislatura, i vari partiti della maggioranza non gli permetteranno di fare un granché. Se non di portare avanti i progetti del Pnrr. Quello è l’obiettivo che tutti i partiti hanno in mente. Se Draghi rimane a Palazzo Chigi, nel febbraio 2023 sarà un illustre pensionato. E lo avremmo perso per sempre.

Sarebbe un peccato, un autolesionismo istituzionale…
Con Draghi abbiamo fatto un salto di qualità incredibile, rispetto a Conte. Ha potuto fare una politica di bilancio espansiva, necessaria in questo periodo di stress per l’economia, facendola accettare di buon grado ai mercati. Altri avrebbero saputo fare altrettanto? Io non credo.

E se andasse a Palazzo Chigi cosa succederebbe al governo?
Deve dare un incarico, puntando sulla stessa ampia maggioranza. La prima e più semplice delle soluzioni sarebbe dare l’incarico al ministro Renato Brunetta. Che è il ministro più anziano, viene da una forza politica moderata, potrebbe mantenere l’equilibrio. Se questo non fosse accettabile dalle parti, perché vedo che ci sono leader di partito che vogliono entrare nell’esecutivo, allora va garantito il governo di larga maggioranza senza nessuno dei ministri presenti. Dovremmo far ricorso a chi ha svolto bene questo compito. Ho in mente per esempio Paolo Gentiloni. Gli si può chiedere di tornare in Italia per un anno, come garanzia per l’Europa di portare avanti i progetti del Pnrr.

Intanto c’è chi inizia a denigrare Draghi, per accompagnarlo alla porta.
Oggi vedo che si tirano fuori gli elementi caratteriali, pur di rinfacciargli qualcosa. Gli si contesta di essere un uomo molto austero, troppo riservato. Una persona che non fa complimenti agli uni e agli altri. Ma non può essere quello della simpatia un metro di giudizio, conta la correttezza.

Quello dell’empatia è diventato un coefficiente, un valore indispensabile.
Di fatto, chi oggi lo vuole fuori dai giochi per il Quirinale obietta che non è simpatico.

Lo stesso si disse di Renzi, “poco empatico”.
Sì, lo stesso si disse di Renzi. Però nessuno può togliere a Matteo Renzi la sua capacità politica. Ha fatto i suoi errori, come quello di puntare tutto sul famoso referendum, ma non è che abbia poche capacità. Ha pagato caramente i suoi sbagli, ma è ancora giovane. Di Renzi parleremo ancora nel futuro.

Se il boccino finisse su Casini, sarebbe il secondo Presidente fatto eleggere da Renzi.
Casini ha il maggior equilibrio, la migliore equidistanza, la giusta esperienza e una buona autorevolezza internazionale. È stato presidente della Commissione Esteri della Camera per alcuni anni. Non tanti quanto me, intendiamoci. Ed ha una buona empatia, un piglio brillante.

Matteo Renzi, Carlo Calenda, Riccardo Magi compongono oggi quell’area liberaldemocratica che proprio lei provò a rappresentare e far emergere, venticinque anni fa.
È un’area che ha bisogno di unirsi, nella tradizione della politica italiana è stata troppo spesso condannata all’irrilevanza. In Italia abbiamo avuto per cinquanta anni due scuole, la Dc e il Pci, tutte rivolte al sociale, all’assistenzialismo. Io spero che poco alla volta si cambi mentalità e si dia spazio ai libealdemocratici, è la battaglia della mia vita. Poi va anche riconosciuto che cinquanta anni di prima repubblica ci hanno ancorati come nucleo fondatore all’Europa. L’ancoraggio all’Ue è un altro punto fermo che deve stare nell’identikit del tredicesimo Presidente.

L’ancoraggio europeista ed atlantista.
La scelta della personalità che farà il Capo dello Stato deve rispettare gli interessi della nazione, ed il nostro ancoraggio è all’Europa, alla Nato, al rapporto preferenziale – concertato con i partner Ue – con gli Stati Uniti, nell’ambito di un multilateralismo capace di considerare le esigenze di tutti.

Lei è stato un attivissimo ministro degli Esteri, con una continuità lunga cinque anni. Che giudizio dà della Farnesina di oggi?
Devo riconoscere che il giovane Di Maio sta facendo bene il suo ruolo. E se penso alla parte politica da dove proviene, bisogna dire che è uno dei migliori, se non forse il migliore. Studia, legge, impara: ho molto rispetto per il suo percorso.

Stiamo parlando di Quirinale mentre in Europa cresce di ora in ora l’allarme per una possibile guerra in Ucraina. Non saremo un po’ troppo distratti?
La Russia non invaderà l’Ucraina. Nella politica estera, il principio che ho sempre seguito è quello di cercare di capire le ragioni degli altri, della controparte. In questo caso le ragioni di Putin non sono tenute in considerazione. Putin non potrà mai accettare che l’Ucraina entri nella Nato, perché significherebbe vedersi puntare centinaia di missili su Mosca. Ma non ci sarà un’invasione.

Lo afferma con grande sicurezza.
Perché affrontai la medesima questione, da ministro. In un incontro con Evgeniy Maksimovic Primakov, il ministro degli Esteri russo nel 1995, presente Madeleine Albraight, parlammo di quella “linea rossa”, intoccabile e invalicabile. Un confine lungo oltre 1500 chilometri sul quale la Russia chiede il rispetto di una fascia di sicurezza. Ricorderà il principio della crisi dei missili a Cuba, quando Krusciov ne inviò due. Gli Stati Uniti di Kennedy andarono su tutte le furie. Oggi, a parti invertite, il problema è lo stesso.

Anche a proposito della crisi ucraina, sarebbe il caso di iniziare a lavorare a un sistema di difesa europeo…
Sì, certo. E ora che Uk è fuori dall’Unione, i leader europei, e Draghi in testa, sono finalmente tutti a favore. Ci vuole una posizione unica sugli Esteri, e poi anche un sistema di difesa congiunto.

Tempo di bilanci. Che settennato è stato, quello di Mattarella?
Rispettato da tutti, un ottimo Presidente, molto prudente. Nel grande rispetto che ho per il suo settennato, però, devo dire che sulla giustizia non ha contribuito a risolvere le questioni che in questi anni sono emerse nella loro gravità. Se c’è un’area in cui Mattarella è stato carente, è quella della riforma della giustizia. E come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura è stato assente e silente.

Gli fa un’osservazione pesante.
La sento profondamente. Davanti ai problemi gravissimi della giustizia, all’esplosione del caso Palamara, doveva adoperarsi notte e giorno per riformare il Csm. E per la separazione delle carriere: inaccettabile la commistione tra accusa e magistratura giudicante. Impensabile nei paesi anglosassoni. Invece Mattarella non ha fatto nulla, e anche l’azione della ministra Cartabia è stata così e così.

Lei è stato Presidente del Consiglio, Dini. Anche negli anni Novanta il problema c’era.
Allora le rivelo una cosa. Eravamo nell’inverno del 1995, le macerie di Tangentopoli erano fumanti. Andai dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Gli dissi che intendevo mettere mano alla separazione delle carriere. Mi fermò: ‘Sei a capo di un governo di programma, porta avanti quello e non uscire dal perimetro’, mi redarguì. Vidi una rigidità che mi fece capire che non mi sarebbe stato possibile.

Un bilancio anche su di lei. Cosa significa essere una riserva della Repubblica?
Sono persone che hanno svolto il loro compito in modo apprezzabile e apprezzato e che oggi sono in disparte, pronti a riapparire sulla scena pubblica. E questo vale per chi ha l’età anagrafica giusta.

 

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.