Tanto tuonò che piovve. Dopo quattro giorni di rumba parlamentare sul green pass, ieri a fine mattinata la Camera ha licenziato il decreto che è – ricordiamo – il primo di tre attualmente approvati dal governo e tutti già in vigore. Il decreto GP numero 3 è stato licenziato ieri intorno alle 14 dl Consiglio dei ministri mentre l’aula licenziava il numero 1 (in vigore dal 26 luglio).

Alla fine possono dirsi tutti contenti: Salvini ha fatto quello di lotta e di governo; i suoi si sono potuti manifestare divisi tra chi è d’accordo – i 45 deputati che hanno votato sì nella votazione finale – e gli altri, 87, che invece non si sono presentati al voto; il governo con pazienza e a piccoli passi va avanti e anche ieri ha aggiunto altri settori di obbligatorietà del green pass. A piccoli passi verso quell’allargamento che riguarderà a breve i dipendenti pubblici e poi anche quelli privati. «Il governo governa (cioè decide, ndr) e i partiti legittimamente si chiariscono tra di loro (leggi anche, si scannano tra di loro, ndr)» ebbe a dire il premier Draghi nella conferenza stampa del 26 agosto. Una frase che ha autorizzato politologi e costituzionalisti ad esercitarsi su come sta cambiando il governo del Paese tra una riedizione del gaullismo (Galli della Loggia) e una più semplice inversione di priorità per cui amministrare (decidere) è prioritario rispetto alla discussione. Al di là di ricostruzioni ipotetiche e incasellamenti in una forma o nell’altra, la cronaca di questi quattro giorni sono il paradigma di quello che è accaduto e ancora accadrà: i leader di partito si azzuffano, il governo va avanti e il Parlamento alla fine lo segue.

Dunque la Camera ha dato il primo via libera (ora il testo è andato al Senato) al primo decreto Green pass che oltre alle norme sulla certificazione verde, proroga a fine anno lo stato di emergenza e rivede i parametri per il passaggio di colore delle regioni. Anche la Lega ha votato a favore nella votazione finale, dopo che in questi giorni ha ondeggiato tra astensioni e voti a favore di emendamenti soppressivi della misura presentati da Fratelli d’Italia. La Lega che “marcia unita e compatta” secondo le parole di Salvini, si è invece mostrata plasticamente divisa a metà: i 45 presenti, hanno votato a favore. Compatti con i ministri e le promesse fatte al premier Draghi. 87 deputati erano però assenti e non hanno votato. Un numero che più che fotografare la massa dei contrari al green pass e al vaccino, racconta anche del malessere che c’è dentro il partito di via Bellerio per questo continuo e incoerente ondeggiare tra il Sì alla ripartenza e il No a vaccino e green pass che della ripartenza sono le principali garanzie.

Il governo comunque qualcosa ha concesso davvero e l’agguerrito Borghi – a cui nei fatti è stata affidata l’aula in questi giorni – ha potuto cantare vittoria per una serie di ordini del giorno presentati dalla Lega (tutti ex emendamenti) e tutti approvati col parere favorevole del governo. «Vorrei ricordare – ha detto Borghi – che, grazie al nostro atteggiamento che qualcuno considera irresponsabile ma che io considero doveroso, abbiamo ottenuto, in sede di ordini del giorno, impegni importanti: risorse per i tamponi a prezzo simbolico, l’aumento a dodici mesi della validità dei green pass per i guariti, il riconoscimento a breve dei tamponi salivari rapidi, la tutela dei lavoratori con la quarantena (in realtà già riconosciuta dal ministro Orlando, ndr), un inizio per l’indennizzo dei danni da vaccino e il riconoscimento per l’utilizzo dei monoclonali». Sarà in realtà il Cts a valutare l’eventuale via libera a queste misure. Resta il No ai test gratuiti e all’apertura delle discoteche.

Negli stessi minuti in cui la Camera dava il primo via libera al primo decreto Green Pass, il Consiglio dei ministri licenziava il decreto Green Pass numero 3: obbligo del vaccino «per tutti gli operatori delle Rsa, anche quelli esterni assegnati a lavori saltuari e però che entrano nelle strutture». E obbligo del green pass per tutti coloro che operano nelle scuole di ogni ordine e grado, università comprese: gli addetti alla mensa, alle pulizie, i collaboratori esterni. Sono esclusi solo gli studenti fino a 18 anni. È il primo step di un percorso che porterà a breve, entro la fine di ottobre, ad estendere l’obbligo del green pass in tutti i luoghi di lavoro dove sono previsti assembramenti e contatti con il pubblico. Qualche esempio: i lavoratori di bar, ristoranti, palestre, musei, piscine, supermercati, negozi di grande distribuzione. L’obiettivo è un unico decreto che coinvolga pubblico impiego e settore privato. Draghi vuole andare avanti, sa che questa è l’unica strada per raggiungere l’immunità di gregge, restare aperti e far ripartire il paese ma vuole anche procedere con gradualità. Convincere più che costringere. «Ci sarà sicuramente un intervento più ampio» ha detto Draghi nella riunione con i ministri.

Insomma, ieri è stata si può dire una giornata di tregua. Per qualcuno la rissa è solo rinviata al prossimo appuntamento parlamentare (la prossima settimana al Senato con il GP numero 2). «Nessun cedimento a Salvini» ha chiarito in serata il ministro della Salute Roberto Speranza, «non si fa politica sulla salute». In realtà ieri Salvini ha dovuto fare i conti con un partito spaccato a metà. E si è preparato per la visita in Vaticano oggi con monsignor Gallagher. E’ la prima udienza ufficiale con le gerarchie vaticane. Un riconoscimento importante per un leader di una forza che si definisce liberal e moderata. E che dovrebbe smettere di giocare con il consenso su tamponi e vaccini.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.