Martedì 8 settembre. In teoria dovrebbe essere tutto straordinariamente semplice. Una nuova piattaforma, raggiungibile all’indirizzo https://www.prenotazionicie.interno.gov.it/, predisposto dal Ministero dell’Interno per tutti i Comuni, dovrebbe permettermi di prenotare senza difficoltà il mio appuntamento per la richiesta di rinnovo della carta di identità elettronica presso lo sportello municipale. Eppure niente. Per quanto mi sforzi, per quanto provi e riprovi, niente. Apparentemente, non sembrerebbero esserci giorni disponibili per rinnovare la mia carta di identità scaduta. Tocca andare in anagrafe. In presenza, come si dice. Mercoledì 9 settembre. Mi sveglio per tempo.

All’anagrafe romana ci sarà la coda ed è meglio cercare di arrivare fra i primi. È quel che faccio: davanti a me c’è solo il cancello che mi separa dagli uffici comunali che apriranno alle 8.30. Alle 8.25 un energico addetto alla vigilanza ci chiede quale sia lo scopo della nostra presenza lì e al mio «vorrei rinnovare la carta d’identità scaduta» mi invita perentoriamente a fare la coda di fronte agli uffici collocati esattamente all’altro estremo dell’edificio. Trattengo una imprecazione e mi precipito dall’altra parte dove, naturalmente, trovo una coda densa e fitta che vanifica l’operato della mia sveglia. Anche qui, dopo un po’, compare un solerte vigile urbano che si accerta delle mie intenzioni. Questa volta confermandomi che la coda è quella giusta. Sospiro di sollievo. La coda si muove finalmente e nel giro di alcune decine di minuti mi ritrovo in una nuova coda a pochi metri di distanza dal mio obiettivo finale: il terminale in grado di darmi data e ora dell’appuntamento con gli uffici deputati al rinnovo della carta d’identità.

Arrivato davanti al terminale mi rendo conto che – diversamente da quanto accade nel resto del mondo in cui gli investimenti in tecnologia sono labour saving – in Italia gli investimenti in tecnologia sono labour augmenting. Alla macchina è infatti associato un diligente funzionario che pone le stesse domande poste dal terminale, si accerta così delle intenzioni dei cittadini e pigia per loro i tasti giusti (mai fidarsi di una macchina e mai fidarsi dei cittadini). Il mio caso, però, è apparentemente, diverso. Il funzionario mi spiega, infatti, che gli appuntamenti si richiedono entrando nel sito apposito (vedi sopra). Gli spiego che è un tentativo che ho effettuato purtroppo senza risultato e mi risponde che purtroppo anche il terminale non è in grado di dare appuntamenti. In sintesi, mi comunica senza mezzi termini che gli spiace ma non può aiutarmi. Cercando di allontanare da me le immagini dello straordinario Michael Douglas di Un giorno di ordinaria follia, mi sforzo di mantenere la calma e osservo che il Comune di Roma è tenuto a fornirmi il servizio che sto richiedendo.

Scelga pure come e quando, ma è tenuto a farlo. Dopo qualche minuto di teso confronto – in cui mi invita a sottoporre il mio caso al Ministro dell’Interno e, in subordine, al sindaco di Roma suscitando la mia ilarità – mi annuncia che intende investire della questione il dirigente preposto. «Nessun problema – mormoro – l’attendo qui». Dopo qualche minuto ritorna per scortarmi fino all’ufficio del dirigente preposto. Una gentilissima funzionaria mi informa, serafica, che il problema non si pone e che c’è una ampia disponibilità di date per gli appuntamenti. Invita, di conseguenza, un suo collaboratore a compulsare un computer – chissà, forse quello stesso sito per me irraggiungibile – per individuare una data. Cosa che puntualmente accade nel giro di pochi secondi. Ringrazio, saluto, esco e faccio un po’ di conti: ci sono volute cinque persone – cinque dipendenti – ognuno impegnato per un discreto numero di minuti per fare qualcosa che, se il mitico sito avesse funzionato, avrei potuto fare in qualche decina di secondi e con non più di cinque clic. Il tutto, naturalmente, a spese mie.

La vicenda mi è tornata in mente rileggendo le linee guida sul Recovery Plan e l’enfasi che le stesse pongono sulla modernizzazione della pubblica amministrazione. «Modernizzare il Paese significa, anzitutto, disporre di una pubblica amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino», si legge a pagina 5 della linee guida. Ora, se qualcosa ho imparato tentando – si noti – di prendere un semplice appuntamento per il rinnovo della carta d’identità (che, come ho detto, mi è stato fissato dopo ben sei settimane), è che la distanza fra la nostra pubblica amministrazione e il mondo digitale è siderale. I siti vengono costruiti e poi visibilmente abbandonati a se stessi perché, evidentemente, terminata la fase di costruzione del sito stesso (presumibilmente affidata all’esterno), all’interno non ci sono le competenze, la volontà, la curiosità necessarie per farne qualcosa di vivo e utile per i cittadini.

Le nuove tecnologie (un parolone per un banale terminale) non servono a ridefinire i processi produttivi, a organizzarli su basi diverse, ma si sovrappongono a quelli in essere che rimangono fondamentalmente inalterati perché l’interesse non è quello di offrire un servizio più efficiente ma piuttosto quello di lasciare inalterati compiti e modalità di lavoro del personale in servizio. Con il risultato – si noti – di effettuare significativi investimenti destinati a rimanere inutilizzati. E allora diventa veramente difficile comprendere come si possa – torniamo alle linee guida – immaginare di far fare alla nostra pubblica amministrazione il salto di qualità necessario per «modernizzare il Paese» senza che quel salto implichi una ridefinizione – anche molto dolorosa e profonda – del modo di essere della pubblica amministrazione.

La lettura della linee guida lascia invece supporre che l’innesto di nuove competenze (e cioè l’assunzione di personale ulteriore, beninteso con «procedure innovative e semplificate totalmente digitali») e la riqualificazione del personale esistente possa bastare per regalarci una «amministrazione competente». Vorremmo crederci, ma purtroppo l’esperienza suggerisce che i processi di ristrutturazione intesi a consentire l’adozione di nuove tecnologie non sono mai privi di costi sociali e personali. Implicano esuberi anche significativi. Richiedono l’abbandono di abitudini consolidate. Esigono che si parli il linguaggio della verità. Impongono costi politici non trascurabili. Nulla di tutto questo è presente nelle linee guida che dipingono invece uno scenario rosa in cui presente e futuro non si sostituiscono ma si sovrappongono. Il cittadino è e rimane un minus habens, incapace di far funzionare un terminale e al quale la verità non può e non deve essere mai detta.