Nel prossimo autunno, vivremo una fase drammatica della crisi del nostro sistema economico nazionale, indotta dai nefasti effetti della pandemia da Covid-19, con una prevedibile caduta del Pil a due cifre e conseguenze devastanti sulla tenuta sociale, allo stato del tutto imprevedibili. Da questa crisi potremo rientrare, nelle più ottimistiche previsioni, nell’arco temporale di almeno un quinquennio, a condizione di varare alcune profonde e organiche riforme strutturali, a partire da quella del fisco, della semplificazione amministrativa e della giustizia civile. Cioè tutelare il mondo imprenditoriale e della produttività, in particolare quello delle piccole e medie imprese, il nostro tessuto economico-produttivo più prezioso, originale e irripetibile, essenziale per il recupero del perduto e la ripresa dello sviluppo. Le misure governative varate, a riguardo, con i tre decreti economici, sono risultate tardive, insufficienti e, in parte, non concretizzabili, in quanto condizionate da decine di decreti applicativi, ancora in stand-by. Hanno trascurato, inoltre, il settore delle pmi, le quali appaiono minacciate nella loro stessa esistenza, nell’ordine del 40%. Sarebbe un’autentica iattura per il futuro! Un baratro irrecuperabile!

Un’impresa auspica, quindi, che le risorse finanziarie di 209 miliardi di euro, tra prestiti e sussidi, “strappate” in sede europea, vengano utilizzate, a partire dall’anticipo, tempestivamente, senza i soliti (e inutili!) trionfalismi, senza i consueti clientelismi e senza le tradizionali miopie, nella direzione più produttiva e di immediata efficacia, anche per le pmi. Un utilizzo basato su una realistica pianificazione dei settori di intervento e congiuntamente a quell’azione riformatrice, non più rinviabile, auspicata peraltro anche dai partner dell’Unione. In questa urgente azione riformatrice, nella quale vanno coinvolte tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione, da discutere e approvare in Parlamento, l’efficienza della giustizia civile, la “grande malata” del sistema Italia, occupa un ruolo strategico per il rilancio economico-sociale del nostro Paese.

Gli associati di Unimpresa, come tutti gli operatori economici e i rappresentati delle diverse categorie produttive, hanno la piena consapevolezza, da decenni, che l’efficienza del sistema giudiziario, in particolare la giustizia civile, costituisce uno dei fondamenti vitali del sistema economico nazionale. I ritardi patologici nella risoluzione delle controversie civili e gli elevati costi delle stesse producono danni massicci all’economia e rappresentano un ulteriore pericolo, accanto alla giungla fiscale e alle lungaggini burocratiche, per la sopravvivenza stessa delle imprese, specie quelle di piccole dimensioni. Ritardi e costi che pregiudicano le condizioni di concorrenza dei mercati, alterano la competitività del sistema economico, distruggono ingenti risorse delle realtà produttive, rallentano le politiche di investimento e condizionano le relazioni commerciali. Si può dare per acquisito, quindi, in base alle più aggiornate statistiche giudiziarie, che esista un legame diretto tra l’efficienza (o l’inefficienza) della giustizia civile e l’efficienza (o l’inefficienza) del sistema economico e delle imprese. Basterebbe prendere in considerazione soltanto due indicatori dell’efficienza della giustizia civile (la durata media dei procedimenti e i variegati costi di accesso al servizio) per cogliere il nesso che intercorre tra la lentezza giudiziaria e le barriere di entrata con la compromissione dell’equilibrio complessivo del sistema economico e l’equilibrio finanziario delle singole imprese.

Senza poter contare, in questa sede, sull’analisi dei costi diretti e diretti, uno vero stillicidio, che pesano sulle aziende coinvolte nei procedimenti giudiziari civili. Le cause della crisi della giustizia civile riguardano l’intero sistema nazionale, anche se in Campania, e a Napoli, come si evince dagli autorevoli interventi già pubblicati e dai dati diffusi dalla Corte d’Appello partenopea, assumono una valenza emblematica di carattere generale: l’enorme carico di lavoro cui sono sottoposti i giudici civili nei Tribunali e nelle Corti d’Appello; il costante aumento delle cause civili pendenti; il numero non adeguato dei magistrati e quello in diminuzione dei cancellieri in servizio per la gestione di materie complesse, come le esecuzioni immobiliari; la complessità di alcune procedure; l’alto numero di pendenze in materia lavoristica e previdenziale (le materie più litigiose!); la mole arretrata e ancora non smaltita di alcuni procedimenti in materia di divisioni e successioni ereditarie. Basterà colmare le lacune delle piante organiche e semplificare le procedure per ridare efficienza al sistema ed evitare l’aumento crescente delle richieste, ormai migliaia, di indennizzo per le lungaggini processuali, in base alla legge Pinto?

Una riforma organica dovrà affrontare anche temi più scomodi, come l’eccesso degli incarichi extragiudiziali dei magistrati, lautamente retribuiti e che incidono negativamente sull’efficienza del sistema? Interrogativi retorici se si prende in considerazione il disegno di legge-delega “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”, presentato in Senato, dal governo, nel gennaio scorso. Pur proponendo alcuni provvedimenti condivisibili, che incidono in maniera chirurgica sul codice di procedura civile, questo disegno di legge, a giudizio di Unimpresa, risulta ancora insufficiente a far rientrare la durata dei processi civili nella media europea (otto anni rispetto alla media europea di tre, nei diversi gradi di giudizio!) e a ridurre l’impatto negativo sull’economia e sulla vita delle imprese.

Le proposte di Unimpresa per superare le insufficienze del provvedimento delega del governo riguardano, oltre al completamento delle piante organiche e alla semplificazione delle procedure, la formazione digitale del personale amministrativo, la disincentivazione del ricorso in giudizio e la resistenza temeraria, la riallocazione presso i tribunali del personale amministrativo ridondante in altri settori, il miglioramento delle pratiche organizzative e lavorative nei tribunali, il varo di interventi specifici per i tribunali più lenti, l’introduzione di nuovi strumenti e adeguati incentivi di risoluzione extragiudiziale e, infine, incentivi straordinari, una tantum, per ridurre, in un biennio, a zero la consistenza dei processi arretrati. Se dovesse fallire questa riforma, in breve tempo la durata dei processi civili passerà da otto a dieci anni, rispetto ai Paesi europei, con prevedibili ripercussioni negative sul sistema economico e sulla già precaria condizione delle piccole e medie imprese, sopravvissute al massacro.