A Strasburgo se la sono palleggiata per parecchi anni, la pratica Berlusconi, finché si sono rivolti al governo italiano (mica alla Magistratura) per chiedere: cari italiani, ma che è questa storia del giudice Esposito? E allora, sembrandoci giusto contribuire con quel che affiora da confessioni, dichiarazioni e ripensamenti, proviamo a dare una mano. Come anche a Strasburgo sanno, tutto ciò che emerge di torbido esce perché qualche giudice perde le staffe, perde la carriera, oppure ha giocato male le sue carte e si vede inquisito da altri giudici e capita allora che – perso per perso – quasi quasi mi pento e canto.

Ciò accade anche con dignità rassegnata e persino convinta che gli abusi avessero comunque una loro logica benedetta dall’alto e più che altro integrata in un sistema che è appunto quello illustrato dal giudice Luca Palamara nel suo libro confessione ad Alessandro Sallusti. È anche lì, nel Sistema spiegato dall’ex membro del Csm Palamara che troviamo le più coordinate tracce della storia del giudice Esposito. Questo magistrato avrebbe dovuto essere sanzionato, cioè castigato per aver detto ciò che non avrebbe dovuto – e cioè le motivazioni della condanna – il 15 dicembre 2014 nel Csm, sezione disciplinare. Avrebbero dovuto, ma poi non se ne fece nulla. Se molti anni fa si parlava della Procura romana come del “porto delle nebbie” da allora questo titolo è passato al vero “porto delle nebbie” in piazza Indipendenza a Roma.

Tutto era cominciato il primo agosto del 2013, quando la sezione feriale della Corte di Cassazione presieduta da Antonio Esposito dopo sette ore di camera di consiglio, condannò definitivamente Silvio Berlusconi a quattro anni di privazione della libertà per frode fiscale nel processo sui diritti Mediaset. Fu allora gran festa nel campo di Agramante o comunque in quello dell’antiberlusconismo militante. Il procuratore Bruti Liberati di Milano, come se avesse annunciato la nascita di un bel pupo di 4 kg, disse: “La pena è immediatamente eseguibile”. E Matteo Renzi, che poco ci manca che sappia l’inglese, trovandosi davanti a un flipper, commentò “Game over”.

Tutti gli antiberlusconiani erano felici e contenti, quando scoppiò la prima grana: uscì sul Mattino di Napoli il 6 agosto un’intervista del giudice Esposito raccolta dal giornalista Antonio Manzo il quale aveva registrato diligentemente ogni parola, e in quell’intervista Esposito anticipava ciò che non poteva anticipare e cioè le motivazioni della sentenza che furono queste: “Berlusconi non poteva non sapere, dunque sia condannato”. Scoppiò un putiferio giornalistico e giudiziario sicché il giudice smentì sostenendo di aver rilasciato l’intervista smentito a sua volta dalla registrazione del giornalista che l’aveva fatta e su quel putiferio si gettarono a pesce gli avvocati di Berlusconi per denunciare un episodio tanto grave da costringere il Csm a schiudere le sue porte blindate e prendere atto dell’ipotesi di grave violazione dei diritti dell’ imputato.

Questa apertura di pratica sulla irregolarità del giudice Esposito andò all’italiana, nel senso descritto da Machiavelli quando diceva che da noi si fa finta di fare guerre e duelli. E infatti, della sanzione minacciata al giudice Esposito non se ne fece nulla perché – spiegò Palamara – condannare Esposito avrebbe sminuito il valore della sentenza di chi aveva condannato Berlusconi. Quindi bisognava fare l’unica cosa per la quale il “sistema” addestra i suoi uomini, e cioè nulla. Esposito, tradotto davanti al Csm fu assolto per non deprezzare la sentenza che aveva emesso contro Berlusconi, che era la cosa più importante. A questo punto della storia entra in campo anche il giudice di Cassazione Amedeo Franco, uno dei membri della Corte che aveva condannato Berlusconi. Amedeo Franco, oggi scomparso, era un uomo cagionevole al rimorso: come don Rodrigo tormentato dal bubbone, non riusciva a dormire per quel che aveva fatto partecipando alla sentenza e si presentò agli uomini di Berlusconi dicendosi costernato e disse che la Corte di cui era membro si era comportata “come un plotone d’esecuzione”, parole sue. E spiegò che la condanna fu emessa perché “c’erano state pressioni da molto in alto”. La geografia dell’altitudine a Roma non si riferisce a montagne, ma a uno dei setti Colli.

Palamara nella sua lunga intervista parla di una quantità di cene conviviali per risolvere questioni che riguardavano talvolta anche magistrati figli di altri magistrati. E quanto ad Amedeo Franco ricorda benissimo che sembrava molto teso per il modo in cui il collegio giudicante aveva ceduto alle pressioni dall’alto arrivando a condannare Berlusconi in modo che considerava ingiusto. Sempre secondo il ricordo di Luca Palamara, il giudice Franco ebbe, sì, dei rimorsi che lo spinsero a confessare a Berlusconi di aver agito contro di lui in un plotone d’esecuzione, ma che questo impeto di coscienza gli si era manifestato soltanto quando si rese conto che, in barba alle promesse ricevute, non sarebbe stato nominato come lui pretendeva Presidente di sezione della Cassazione. Amedeo Franco non nascondeva che l’assicurazione gli era venuta dal Quirinale e che quando si rese conto che gli avevano dato buca, secondo Palamara, Franco tempestava di telefonate il Quirinale rivolgendosi al Consigliere per gli affari giuridici del presidente Napolitano, Ernesto Lupo, lamentandosi – ecco un elemento utile a Strasburgo per capire il meccanismo – per il fatto che benché avesse messo a tacere i criteri etici per produrre una sentenza anomala e vergognosa, cercando consolazione nell’ambìta nomina a Presidente di sezione della Cassazione, sentendosi preso per i fondelli lasciò che la coscienza gli tornasse in gola e che persino si esprimesse. Palamara racconta che Franco, poi, alla fine ottenne il posto ma solo dopo scene del genere “i miei occhi hanno visto cose che voi altri umani…”, la solita citazione di Blade Runner.

E il giudice Esposito di cui Strasburgo chiede notizie? A Strasburgo potrebbe interessare il fatto che il Csm aveva aperto un’inchiesta disciplinare anche nei confronti di Ferdinando Esposito, figlio di Antonio, anche lui magistrato. Secondo quel che dice Palamara, Esposito jr. ne avrebbe combinate di tutti i colori e avrebbe persino inviato segnali ai legali di Berlusconi facendo intendere di sapere come erano andate le cose. Alla fine, Esposito jr. fu trasferito a Torino e il procedimento disciplinare che lo riguardava fu lasciato galleggiare nel limbo dei procedimenti rinviati sicché dopo sei anni sta dove stava. Speriamo che a Strasburgo si siano fatti tradurre il libro-confessione di Luca Palamara il quale spiega che i processi e le sentenze avevano lo scopo preciso ed etero-diretto di abbattere semplicemente Berlusconi oltre a dissanguarlo col risarcimento “monstre” di 750 milioni a favore di Carlo De Benedetti, somma poi notevolmente ridotta.

Per saziare le curiosità di Strasburgo non ci vuole un premio Nobel: la Giustizia italiana negli scorsi venticinque anni ha avuto una sola stella cometa, o obiettivo ultimo: tutto ciò che va contro Berlusconi è buono perché vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Già che ci sono, a Strasburgo potrebbero durante una pausa caffè dare un’occhiata alla famosa vicenda dei calzini di un vivace color azzurro, il colore del partito di Berlusconi, che furono spavaldamente indossati dal giudice Raimondo Mesiano, quello che inflisse 750 milioni di risarcimento al Cavaliere, il quale li indossò con lo spirito calcistico, andato in onda su Canale 5 come a dire: “Berlusconi, guarda dove ti metto: nella suola delle scarpe”. Questo evento sollevò un polverone e una seduta del Csm dedicata al più colorato fatto della storia giudiziaria della Repubblica. L’indossatore di calzini fu comunque assolto, ma per un pelo perché con il suo show aveva arrecato nocumento al supremo scopo della giustizia, che è quello di colpire Berlusconi tout azimut. La Corte chiede dunque se Berlusconi fu sottoposto a giusto processo? Bastano poche ore di buona lettura, Strasburgo, non occorrono anni.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.