Avendo una quarantina di anni più di Ultimo, incontro coetanei (miei) che a votare ci andranno; e di elezioni mi tocca persino parlare, in incontri promossi nei circuiti politico-mediatici che bazzico. Ad esempio, qualche giorno fa mi è capitato di partecipare ad una dignitosissima iniziativa promossa da persone animate da un’indiscutibile passione politica – non disgiunta da inossidabile spirito civico – in cui si parlava con linguaggio da iniziati di cosa dovrà essere l’Europa del futuro, delle scelte decisive che il Parlamento di Strasburgo dovrà affrontare, del perché non possiamo farci rappresentare lì da certi sovranisti un po’ bifolchi; i partecipanti al confronto la pensavano esattamente allo stesso modo su tutto, ma – guarda un po’! – erano espressione di liste elettorali diverse e concorrenti. Poi l’altra sera ho visto in treno un dirigente politico, cui ho chiesto come stava andando la campagna elettorale; mi ha detto che agli incontri che fa in giro partecipano in genere alcune decine di ultrasessantenni già convintissimi del voto da dare, e che le sole iniziative che funzionano sono gli appuntamenti presi con imprenditori/commercianti/professionisti (da andare a pescare sui loro luoghi di lavoro) in cui i candidati promettono attenzione e impegno per le cause più disparate.

In questi casi si può sperare nella mobilitazione di gruppi più larghi di elettori, superando le bolle di appartenenza, ma entrando di filato nella pericolosissima spirale del voto di scambio o di qualche elargizione che un qualunque PM di turno può impugnare come arma letale. Infine, a conclusione della giornata, al compleanno di una mia carissima amica, ho incrociato un po’ di radical-chicchismo in purezza: belle persone generalmente cariche di sdegno e disillusione. Uno di loro mi ha detto di essere capitato per caso in una chat di “moderati”, trovandoli più estremisti e incazzati di Travaglio. Un altro aveva sentito poche ore prima, per lavoro, il rappresentante di un fondo di investimento internazionale, parlandogli del prossimo voto europeo; l’interlocutore non sapeva niente della scadenza dell’8 giugno, e gli aveva chiesto candidamente: “Ma questa cosa di cui mi parli può incidere sul nostro business?”.

La deriva della politica

A quindici giorni dalle elezioni, mentre regole bacchettone mettono il silenziatore sui sondaggi pubblici, questo è il mio privato, personalissimo poll. Salvo che a persone nobilmente ammalate o dipendenti dalla politica, a nessuno frega niente del prossimo voto. Gli addetti ai lavori, candidati o dirigenti di partito, cercano di mobilitare i tifosi alzando il volume della propaganda; ma, quando escono dalle curve degli stadi, trovano il vuoto. E vengono presi per illusi o per matti se osano parlare di contenuti, finendo per rimpallarseli tristemente tra loro. Abbiamo da incolpare qualcuno per questa che comunemente viene definita “deriva” della politica, intendendo qualcosa di molto angoscioso e preoccupante, che fa stracciare le vesti a ogni editorialista che si rispetti (oddio signora mia, come faremo con questo astensionismo dilagante…)? Ma neppure per idea.

“Homo Deus”

Se siamo sempre meno interessati a indossare il vestito buono per andare a deporre una scheda nell’urna, è perché – per fortuna – la politica occupa molto meno di prima le nostre vite. Che sono oggi più aperte e ricche di opportunità, più libere, meno condizionate. E dunque prendiamoci il buono di questa nostra inedita condizione umana. I nostri genitori neppure immaginavano che saremmo diventati tutti “homo deus”, arroganti padroni del mondo, presuntuosi detentori di verità assolute: e Dio sa quanto gli sarebbe piaciuto. Questo vuol dire che non ci sia più bisogno di politica? Al contrario, purché si tratti di una progettualità capace di andare oltre, di immaginare il futuro, non di gestirlo con mestizia. Al momento non si intravedono politici con questa ambizione. Quando arriveranno, per un bel po’ saranno predicatori nel deserto. E noi riformisti saremo con loro, per dissetarli con qualche preziosa goccia d’acqua.