Vittoria della destra in Lombardia e Lazio
Elezioni regionali, chi ha vinto e chi perso: Meloni dominatrice, Lega e Forza Italia mantengono

La vittoria era ampiamente prevista, possiamo dire che non è mai stata in discussione in base ai sondaggi e lo spoglio delle schede l’ha confermata. Nel Lazio e in Lombardia. La vera buona notizia per il destra-centro unito è che Giorgia Meloni pur viaggiando intorno al trenta per cento non ha stravinto.
E non ha cannibalizzato più di tanto gli alleati. Questo vale soprattutto in Lombardia dove (a metà scrutinio) Fratelli d’Italia si “ferma” al 25,9%, la Lega si posiziona al 16,9 e Forza Italia resta al 7,5%. Nel 2018 le Lega era intorno al 30% ma alle politiche di settembre si fermò al 13,9. Diversa la situazione nel Lazio dove a metà scrutino il rischio “cannibalizzazione” sembra un po’ più grave. Qui Fratelli d’Italia arriva al 34%, la Lega si ferma al 6,6 e Forza Italia al 6,3, un paio di punti sotto le politiche di settembre.
Fotografia in campo largo
Ma al di là dei singoli voti di lista e dei vincitori del momento, la fotografia in campo largo e lungo di questo voto esalta alcuni aspetti. L’astensione altissima, oltre il 60% nel Lazio e appena sotto il 60 in Lombardia, la più alta di sempre (anche del 2014 quando in Emilia Romagna andò a votare il 38% e portò alla vittoria Stefano Bonaccini) costringe tutti i candidati, vincitori e vinti, a porsi seriamente il problema della distanza sempre maggiore tra i cittadini e la politica. Raccontano, i dati, che il destra-centro gioca ormai da solo, senza opposizione nei fatti (anche uniti Pd, M5s e Terzo Polo non avrebbero mai insidiato i candidati di destra).
Questa non è certamente una bella notizia per la democrazia che invece vive di contrapposizione dialettica, ma la colpa non è certo della destra e molte domande dovranno farsela nel centrosinistra. Raccontano, quei dati, anche altro. Ad esempio che le narrazioni catastrofiste – Fontana “incapace” di gestire la pandemia e i 45 mila morti in Lombardia, indagato e candidato debole; Rocca con una passato difficile e pieno di conflitti di interessi sulla sanità – non hanno avuto peso nella scelta degli elettori. Forse sono queste le regioni che hanno tenuto lontani molti elettori e con cui si spiega l’astensionismo. Ma è innegabile che sul Paese soffia il vento della destra con Giorgia Meloni premier. In questo momento qualunque cosa faccia, anche sbagliata, non viene registrata.
Sappiamo bene come questi venti – lo cavalcò Matteo Renzi prima, Giuseppe Conte dopo – posa cambiare in fretta direzione. In questo momento però sul paese soffia il vento vincente della destra. Il centrosinistra ha la responsabilità enorme aver fatto fuori quattro segretari in cinque anni. Il Pd ha commesso il peccato mortale di aver perso sei mesi in un congresso noioso e autoreferenziale. Lo spoglio delle urne racconta anche che i timori urlati da destra nelle ultime 72 ore su Sanremo che “è entrata a gamba tesa nella settimana pre elettorale”, sono stati quanto mai infondati e strumentali. Anzi, pubblico di Sanremo e astenuti mostrano analogie numeriche interessanti. Farsi una domanda e darsi qualche risposta. Vale per tutti. Il saldo finale è che il voto, quello che si è manifestato, è stato polarizzato sui due poli e che ha stravinto Giorgia Meloni. Da oggi sono 15 le regioni governate dalla destra. Anche questo semplificherà molti il racconto politico dei prossimi mesi.
Il Melonicentrismo
Focus sul centrodestra, quindi. Giorgia Meloni ha stravinto ma Fratelli d’Italia non ha stravinto. Al di là del gioco di parole, si può dire che la Presidente del Consiglio è l’unica vera vincitrice della competizione politica. La preoccupazione di stringere nell’angolo dell’irrilevanza gli alleati è stata compensata dalle percentuali. Il problema dello squilibrio nella coalizione resta. Non ci sono appuntamenti elettorali nei prossimi dodici mesi (tranne altre due regioni, Friuli e Molise già a guida centrodestra) e fino alle Europee la premier non avrà più alibi alla sua azione di governo. E’ un leader solo al domando, ha i numeri, deve governare e soprattutto fare.
L’astensione lascia il dubbio che un vantaggio all’apparenza inattaccabile possa essere effimero e ribaltabile alla prima vera curva (le Europee del 2024). In generale Meloni dovrà fare i conti con una squadra che quando non la delude certo non la soddisfa. Lo squarcio che si è aperto domenica sulla politica estera è un campanello d’allarme vero. La sortita filoputinista di Berlusconi sulla guerra in Ucraina (“Zelensky la smetta di combattere e accetti un piano Marshall per la ricostruzione”, non è chiaro però di quale Ucraina) è stata di nuovo, per la terza volta, messa a tacere tra il gelo e l’imbarazzo. Ma il filiputinismo travestito da pacifismo è un nervo scoperto per la coalizione: il governo si appresta a firmare il sesto invio di armi e l’approvazione sarà contrassegnata dai mal di pancia.
La premier deve fare anche i conti con una “fiamma magica” di stretti collaboratori che troppo spesso ha già dato prova di non avere misura e senso del ruolo. Alla fine in questo quadro il problema principale è il melonicentrismo. Ieri mattina la leader ha disdetto tutti gli impegni causa influenza. O forse per evitare di commentare la sortita di Berlusconi ad urne ancora aperte. Ha scritto un post molto cauto ed istituzionale poco dopo le 16 complimentandosi per la vittoria. La sua assenza al comitato elettorale di Francesco Rocca ha dimezzato la festa.
Salvini, scampato pericolo
Chi invece ha subito gioito è stato Matteo Salvini: Fontana era il suo candidato, è andato meglio del previsto (al 53%) e può tirare un sospiro di sollievo rispetto ai piani di chi nella Lega lavorava ad una sostituzione. Ha subito postato un video molto sorridente con il governatore Fontana. Intendiamoci, i dati sono comunque brutti se letti in prospettiva: in Lombardia la Lega nel 2018 era poco sotto il 30%, le percentuali che ha oggi Meloni; alle Europee del 2019 ci fu il boom con il 43,4 fino alla doccia fredda delle politiche di settembre scorso (13,9 il dato in regione). Essere sotto il 7 per cento nel Lazio non è certo un bel risultato. Ma poteva andare anche peggio.
“È una bella serata per la Lega – dice il vicepremier intorno alle 20 – e per il governo perché i risultati promuovono l’azione dell’esecutivo nei primi cento giorni. Questo ci dà la forza per andare avanti uniti come squadra”. Non esistono, ovviamente, né cannibalizzazione da parte di Fratelli d’Italia né tensioni. “Mi sono sentito con Giorgia e Silvio e va tutto bene”. Scansate abilmente ogni questione relativa alla politica estera, il nuovo invio di armi all’Ucraina, alle riforma delle Autonomie – il successo di Meloni nel Lazio è un problema proprio per questa riforma – e ai balneari, per restare solo alle prime grane dell’azione di governo nel prossime ore.
Ronzulli: “Siamo stati promossi”
Silvio Berlusconi ha seguito lo spoglio da Arcore. I commenti sono stati affidati alla senatrice Licia Ronzulli. “Siamo stati promossi, questo voto era un tagliando per il governo ed è andato bene” ha esordito la capogruppo. Ronzulli non si cura tanto delle percentuali ottenute da Forza Italia, una sostanziale tenuta in Lombardia (tra il 7 e l’8) ma la perdita di posizioni nel Lazio (sotto il 7). La soglia di sopravvivenza per gli azzurri era il 5 per cento, andare sotto sarebbe stato insopportabile. Sono rimasti sopra.
Il problema per loro era e resta lo scarso peso che riescono ad avere nell’azione dell’esecutivo. Ma per Ronzulli il voto aggiunto di questa consultazione è soprattutto un altro: “La cannibalizzazione non è riuscita”. Non quella di Fratelli d’Italia, in corso in modo costante da anni. Si riferisce invece al Terzo Polo, a chi, come Gelmini e Carfagna, ha lasciato la casa madre per approvare ad Azione ma non ha conquistato consensi tra l’elettorato moderato di Forza Italia. Triste soddisfazione visto che molto probabilmente quegli elettori non sono andati a votare.
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