All’inizio della Prima guerra mondiale quando dagli Zeppelin facevano piovere su Londra bombe che portavano inciso lo stesso loro nome tedesco, si ribattezzarono Windsor e lavorarono per crearsi un’immagine popolare e persino plebea, visto che l’aristocrazia li snobbava. Re Giorgio impedì nel 1917 a suo cugino lo Zar Nicola secondo (suo sosia e quasi gemello) di rifugiarsi a Londra perché i sudditi inglesi lo volevano morto e lasciò che finisse trucidato dai bolscevichi. La storia di Edoardo e della divorziata americana Wallis Simpson è nota: fu per causa sua che finì al trono il povero Bertie, padre di Elisabetta, balbuziente e goffo che non ne voleva assolutamente sapere (sulla sua incapacità di parlare fu realizzato il film The King’s speech) sconvolgendo la linea di successione. Linea che, tuttavia, ha retto proprio grazie alla ragazza Elisabetta che nei documentari si vedeva un po’ scapigliata mentre giocava a pallavolo coi marinai della Royal Navy durante il viaggio di ringraziamento ai sudditi africani che avevano combattuto per il Regno.

Oggi si è confermata una super istituzione: ha preso il controllo della procedura con cui stabilire ruoli, conti, proprietà e le regole con cui proteggere il copyright di famiglia, “the firm” la casa reale. Ha imposto una simulazione: i due dimissionari possono stabilirsi in Canada, che è sempre un pezzo di cuore inglese. Almeno all’inizio. Tutti sanno che Meghan vuole tornare a Los Angeles, ma dovrà farlo per gradi. Intanto, i canadesi si sono sentiti investiti dalla tentazione di accogliere un prolifico ramo mezzo americano della Royal Family e discutono di un imprevisto sogno sbocciato su media: avere una coppia reale regnante.

Ancora più incredibile è che dai domini britannici nei Caraibi si levino forti voci di protesta su giornali e social: «La duchessa nera è sangue del nostro sangue, la vogliamo nostra leader e sovrana». E ieri il compassato Wall Street Journal, il tempio cartaceo degli affari e dei repubblicani, suggeriva una rivalutazione della monarchia costituzionale capace di bilanciare le passioni e garantire dignità democratica. È una enormità se si pensa che gli Stati Uniti sono stati la prima Repubblica democratica al mondo, per questo detestati da tutte le teste coronate, e questa è la ragione per cui la First Lady non è banalmente la moglie del Presidente, ma una regina consorte, con funzioni e rango nelle istituzioni.

C’è da considerare anche che gli americani degli Stati Uniti detestano, ricambiati, gli americani del Canada. Quando fecero la rivoluzione, i lealisti monarchici fuggirono in Canada come i controrivoluzionari francesi nella Vandea. E nel 1812, quando gli inglesi attaccarono le loro navi perché non rispettavano il blocco dei porti nella guerra contro Napoleone, gli americani tentarono vanamente di conquistare il Canada. Lunga storia, ma geneticamente attiva anche nella memoria. E oggi, grazie alla “birazziale” Meghan e al suo amabile duca, Harry, la competizione si è risvegliata fino a trasmettere le sue onde emotive sui media australiani e persino in India dove i notiziari trattano la vicenda dei due dimissionari membri della casa reale, come un fatto della loro storia interna.

Ci saranno strascichi, querele dei principi contro giornali e giornalisti ficcanaso, pettegolezzi sul tesoro e gli affari, e poi la coppia comincerà probabilmente a pendolare finché, dopo la successione di Elisabetta, probabilmente, si stabilirà in America – Stati Uniti e Canada – dove agitare discussioni finora impensabili nelle ex colonie e nel Commonwealth, se sia meglio un presidente o un duca, una principessa dal genoma multiplo o una democrazia fatta solo di apparenze formali e scialbe, visto che a quanto pare la gente adora divertirsi con le regge e le teste coronate, purché facciano casino, facciano discutere e facciano vendere i tabloid popolari e scoppiare o social.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.