Editoriali
Feudi del Pisciotto, il fascino della Sicilia tra vino, storia e arte

Realizzare un passito in Sicilia, avendo a disposizione il Moscato di Siracusa, lo Zibibbo di Pantelleria o la Malvasia delle Lipari, è la cosa più naturale. Ma il Passito Tachis di Feudi del Pisciotto, l’azienda vitivinicola dell’editore Paolo Panerai, è la classica eccezione che conferma la regola. E che eccezione!
Un passito che raccoglie la lezione di Tachis
“Quando ci venne in mente di fare un passito ne parlammo con Giacomo Tachis che subito ci ammonì: ‘Non fatelo però con lo Zibibbo, anche se di Pantelleria. Meglio Semillon e Gewurtztraminer’. Avevamo una fiducia illimitata nelle sapienza di Tachis, ma qualche perplessità c’era: passi per il Semillon, il vitigno del Sauternes, ma il Gewurtztraminer nel caldo della Sicilia che risultati avrà?”. A raccontare questa storia che ha al centro Giacomo Tachis, la figura che ha segnato la storia dell’enologia italiana, è proprio Paolo Panerai, il patron di Domini di Castellare che raccoglie quattro cantine: Castellare di Castellina nel Chianti classico, Rocca di Frassinello in Maremma e, appunto, Feudi del Pisciotto e Gurra di Mare in Sicilia. La risposta di Tachis fu lapidaria: “In Sicilia si può coltivare qualsiasi vitigno. Il segreto? Alla base c’è il concetto di Galileo Galilei che il vino è luce (del sole) e umore (della terra). E in Sicilia non mancano né la luce né l’umore. Basta saper coltivare i terreni”. Basta assaggiare oggi il Passito Tachis per riconoscere il senso di quella suggestione: il vino è dolce, ma lascia la bocca pulita e netta, senza peso eccessivo né scia stucchevole. “Con questo passito potete far concorrenza anche a Château d’Yquem”, disse Tachis paragonando il prodotto al celeberrimo e iconico sauternes, “Premier Cru Supérieur”, prodotto nella regione di Sauternes, nella parte meridionale di Bordeaux. E proprio come lo Château d’Yquem, il Passito Tachis – chiamato così anche grazie all’approvazione di Ilaria Tachis, figlia del grande enologo – è un vino da servire a tutto pasto, magari accompagnando una cena realizzata da Luca Assiso, lo chef del ristorante Il Palmento dei Feudi che rappresenta un valore aggiunto dell’azienda vitivinicola.
Il più grande palmento della Sicilia
Sita nelle campagne di Niscemi in provincia di Caltanissetta, la tenuta Feudi del Pisciotto si presenta all’arrivo dei visitatori come una vera e propria oasi nel deserto. Siamo infatti in un’area rurale obiettivamente marginale e apparentemente isolata del Sud-Est della Sicilia, estrema propaggine della denominazione del Cerasuolo di Vittoria, compresa tra Caltagirone e Piazza Armerina, ma proprio per questo incontaminata e ricca di fascino.
L’azienda può contare su 190 ettari totali, 49 dei quali sono coltivati a vigneti che giacciono fino a 300 metri sul livello del mare, proprio ai margini della Riserva Naturale Sughereta di Niscemi e a pochi chilometri dal mare. Sul piano storico e architettonico, il punto di massima attrattiva della tenuta è certamente l’antico palmento, tipica struttura per la pigiatura delle uve e la vinificazione (in uso già al tempo dei Greci e dei Romani), risalente al 1700 e rimasto intatto fino ai nostri giorni. “Con otto-nove grandi vasche, era la più grande cantina di vinificazione in Sicilia”, ricorda Paolo Panerai. Questo magniloquente reperto della civiltà contadina merita da solo il viaggio.
Oggi l’azienda è ovviamente dotata di tutti gli strumenti tecnologici necessari per realizzare il vino secondo criteri contemporanei: l’antico palmento, infatti, è collegato a una moderna cantina costruita per vinificare fino a 10 mila ettolitri con le tecnologie più avanzate. La nuova cantina ospita inoltre la barricaia con oltre 700 barrique. Altre barrique sono collocate nella ex tinaia visibile attraverso il pavimento di vetro della sovrastante zona del ristorante Il Palmento di Feudi, ricavato nei suggestivi spazi del palmento. Nel baglio del ’700, infine, è stato realizzato un wine relais con piscina e spa che ospita attualmente 15 camere (diventeranno 35 in futuro).
Di recente, Feudi del Pisciotto sta compiendo una profonda trasformazione della sua offerta, grazie alla supervisione di Alessandro Cellai, delfino di Tachis ed enologo manager di tutte le cantine dei Domini di Castellare, e alla collaborazione sul campo di Marco Parisi, l’enologo residente.
Nero d’Avola Versace, un vino iconico
“L’allora presidente della Sicilia Salvatore Cuffaro ci propose di chiamare dei grandi stilisti italiani per promuovere i vini siciliani”, ricorda il patron Paolo Panerai. Erano i primi anni del 2000 e l’azienda portò in Sicilia uno stile squisitamente toscano, ispirato alla lezione di Tachis. “Realizzammo le etichette con la collaborazione di diversi stilisti – Versace, Gianfranco Ferré, Giambattista Valli, Carolina Marengo e Stephan Janson – ma poi sembrava che il vino lo facevano loro”, scherza Panerai. Tuttavia il Nero d’Avola Versace rientra nella top 100 di Wine Spectator, diventando forse il vino più iconico dell’azienda. “Il Versace ha un grande successo in Cina e Donatella Versace è una grande fan del Nero d’Avola. Lo abbiamo mantenuto perché è ormai un’icona di Feudi del Pisciotto, mentre negli altri vini abbiamo cambiato l’immagine”, continua Panerai. Ancora oggi il Versace, grazie alla sua potenza di beva e alla personalità ricca di colore, gusto e alcol, resta tra i prodotti più buoni e rappresentativi della cantina.
Varietà autoctone e arte siciliana
Ma l’azienda compie adesso una vera e propria svolta puntando alla valorizzazione delle varietà autoctone, con il lancio di due nuove linee ispirate all’arte siciliana.
In primo luogo, Colori di Sicilia, che include quattro vini monovarietali (Grillo, Frappato, Catarratto e Nero D’Avola): freschi, moderni e con un grado alcolico contenuto. La nuova linea, spiega Alessandro Cellai, “nasce per trovare la migliore sinergia tra vitigno e territorio”. L’operazione può considerarsi riuscita. Il Catarratto 2024 ha uno stile sobri tipico del vitigno ed esprime bene il frutto e le note balsamiche. Il Grillo 2024, frutto di una vendemmia lievemente anticipata, presenta una spiccata acidità e risulta dissetante al palato. Interessante per la complessità aromatica il Nero d’Avola. In generale, si tratta di vini capaci di rappresentare bene il territorio, giocati sulla freschezza e immediatezza di beva, capaci di accontentare un pubblico ampio senza inutili sovrastrutture.
Aggiunge Panerai: “Abbiamo cercato di interpretare di più il territorio e, per farlo, ci siamo anche rivolti a Giacomo Alessi, artigiano calatino, il massimo ceramista di Caltagirone: la sua influenza si riflette nelle etichette della linea Colori di Sicilia”.
Spazio, poi, ai Putti del Serpotta, una linea premium costituita da tre vini Doc Sicilia Superiore ottenuti dalla selezione delle migliori uve Frappato, Chardonnay e Grillo, e da un Cerasuolo di Vittoria, unica docg siciliana, espressione massima della Sicilia sud-orientale. Il Grillo 2023 offre una perfetta fusione tra l’espressività del frutto e la maturazione in legno. “Ero sicuro dei rossi, ma i bianchi ci hanno stupito”, ammette Alessandro Cellai, confermano la vocazione della Sicilia per i vitigni a bacca bianca. Molto interessante il Frappato: qui il legno dona una squisita nota di liquirizia. Infine, il Cerasuolo di Vittoria, di sicuro il miglior rosso di queste batterie, dal tannino dolce e setoso. Nella linea dei Putti del Serpotta sono invece raffigurati gli iconici angeli del famoso scultore siciliano del ‘600 che decorano le chiese barocche di Palermo.
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