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Gas ai massimi dal 2023: la crisi energetica continua che bussa alle porte dell’UE

Ammesso che se ne fosse veramente mai andata, la crisi energetica sta tornando a bussare alla porta dell’Europa. I prezzi del gas nel Vecchio continente hanno recentemente toccato i livelli più alti degli ultimi due anni, arrivando a 58 euro per megawattora, l’equivalente di circa 100 dollari al barile di petrolio.
La questione non riguarda il mero, benché doloroso per famiglie e imprese, aumento dei prezzi. Innanzitutto a preoccupare è la tendenza al rialzo del prezzo del contratto del gas a un mese che dura ormai da inizio 2024, se si considera che a febbraio dello scorso anno il prezzo aveva toccato i 25 euro per megawattora. Se un picco improvviso può essere considerato un’anomalia, un trend di lungo periodo ha effetti più profondi sui mercati dell’energia, sui consumatori e sull’intera economia. L’impatto di questi aumenti non si ferma poi ai soli consumatori di gas. Gas che è spesso utilizzato in Europa come riferimento per la formazione dei prezzi dell’elettricità attraverso il sistema di prezzo marginale. Il prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Italia sta infatti tornando sopra i 150 euro per megawattora.
Il secondo problema, ancora più critico per la sicurezza economica comunitaria, riguarda la situazione degli stoccaggi nella prossima estate. Causa il freddo intenso e i mancati afflussi di gas via tubo da Mosca, attualmente gli impianti di stoccaggio della Ue sono pieni al 49% – rispetto al 67% dello stesso periodo dello scorso anno – e arriveranno probabilmente al 30% al termine della stagione invernale. Questo significa che per riempire i serbatoi, in vista del prossimo inverno, sarà necessario acquistare più gas nel corso dell’estate: azione ardua, considerando il mancato ramp up produttivo di GNL dagli Usa.
L’Unione europea punta ad avere i depositi pieni al 90% entro l’inizio di novembre. Ma c’è una grande differenza tra raggiungere questo obiettivo partendo dal 67% a febbraio, come lo scorso anno, e farlo dal 30% da cui si partirà ad aprile. Questo fenomeno ha invertito il normale andamento stagionale del mercato del gas. Di solito i prezzi estivi sono più bassi rispetto a quelli invernali, per il semplice motivo che a luglio la domanda di riscaldamento è minima. Ma oggi il gas con consegna estiva sta scambiando a un prezzo superiore di circa 5 euro per megawattora rispetto a quello con consegna invernale, rendendo anti-economica l’azione di stoccaggio.
Se il mercato dovesse mantenere l’assetto attuale, un’opzione è che i governi intervengano con sussidi per incentivare l’acquisto. Ma questa soluzione avrebbe un evidente effetto collaterale: spingere ulteriormente al rialzo i prezzi, come accadde nell’estate 2022, oltre a comportare un costo non indifferente per gli esecutivi. A spanne solo l’Italia dovrebbe mettere sul tavolo circa 1 miliardo in incentivi. L’altra opzione prevede di abbassare il target di riempimento degli stoccaggi dal 90% a un 50%-60%. In questa maniera il premio estivo sull’inverno verrebbe riassorbito, creando le condizioni adatte per lo stoccaggio e facendo risparmiare denaro ai paesi comunitari. Il rischio però è quello di iniziare il prossimo inverno da un livello di stock molto basso, che lascerebbe l’Europa vulnerabile a un inverno rigido.
La soluzione perfetta, insomma, non esiste. La carenza di gas nel mercato europeo rimane strutturale, con buona pace di chi – senza avere conoscenza del mercato – sosteneva che il Vecchio continente potesse fare a meno del gas russo senza conseguenze. La wild card che potrebbe allentare significativamente la tensione è naturalmente rappresentata da un congelamento del conflitto in Ucraina. Tanto che alcune banche d’affari Usa hanno già iniziato a tracciare scenari di prezzo, inserendo nelle stime il parziale ripristino di flussi da Mosca. Ma al momento si tratta di un esercizio di laboratorio, visto il velo di imprevedibilità che avvolge quella sciagurata guerra alle porte dell’Europa.
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