Mentre le forze armate israeliane assediano Gaza, il primo ministro Benjamin Netanyahu si rivolge agli ambasciatori stranieri e parla del futuro della regione palestinese dopo la guerra. “Un futuro reale, un futuro di promesse e speranze” ha sottolineato il premier durante l’incontro. E rivolgendosi agli inviati del Vecchio Continente, il monito di Netanyahu è stato particolarmente duro: “Se il Medio Oriente cade sotto l’asse del terrore, l’Europa sarà la prossima”. Ricordando che con “asse del terrore” intende Hamas e tutte le milizie guidate dall’Iran. È significativo che Netanyahu abbia parlato del futuro di Gaza dopo un mese dal brutale attacco di Hamas contro Israele, nel mezzo dell’assedio e rivolgendosi ai rappresentanti esteri. Ma forse è anche il segno di come il premier israeliano abbia colto i timori evidenziati dai partner internazionali e in particolare dal segretario di Stato americano Anthony Blinken, che dopo essere approdato nello Stato ebraico ha compiuto l’ennesimo tour diplomatico mediorientale per gestire il caos.

I media locali hanno lasciato intendere un certo gelo tra l’inviato Usa e il premier israeliano. Nessuno ha messo in dubbio il totale supporto di Washington alla causa israeliana né alla necessità di sconfiggere definitivamente Hamas. Lo dimostra anche il messaggio inviato all’Iran con il passaggio nel canale di Suez di un sottomarino nucleare: un avvertimento che si unisce alle portaerei schierate nel Mediterraneo orientale e ai droni che sorvolano Gaza alla ricerca degli ostaggi. Tuttavia, Blinken – e con lui vari esponenti dell’amministrazione Usa a partire dal presidente Joe Biden, che ieri ha sentito Netanyahu al telefono – ha più volte ribadito che la risposta dello Stato ebraico alla barbarie del 7 ottobre non solo deve tenere contro della protezione dei civili e degli ostaggi, ma anche suggerire una “exit strategy” per la Striscia di Gaza.

Un tema che per Biden è fondamentale, visto che di lì passano la stabilità regionale e i rapporti triangolari tra Stati Uniti, Israele e i Paesi mediorientali, ma che sembra essere ancora difficile da decifrare osservando i piani di guerra di Netanyahu. Sul punto è intervenuta anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che, in un discorso accolto con una certa freddezza da molte fonti Ue, ha ipotizzato un futuro per la Striscia realizzato attraverso la scomparsa di Hamas, il suo controllo sotto un’unica autorità palestinese e una missione internazionale per garantirne la sicurezza. L’impressione è che esista un dibattito a livello diplomatico che guarda già al dopoguerra. Ma ora, in attesa che tutto questo si concretizzi, il lavoro delle cancellerie si concentra anche su un altro aspetto più urgente, quello degli aiuti umanitari, per il quale si attendono anche i risultati della conferenza indetta dal presidente francese Emmanuel Macron il 9 novembre a Parigi.

La guerra, infatti, continua. E mentre Netanyahu e i leader mondiali riflettono sul futuro, l’exclave palestinese è al centro di una furiosa battaglia con cui le forze armate di Israele puntano a sradicare Hamas uccidendone i comandanti e i miliziani e distruggendone siti, tunnel e arsenali. Esercito e Shin Bet hanno annunciato ieri l’uccisione di un altro vertice di Hamas: Wail Asfa, comandante del battaglione Deir al-Balah, e vecchia conoscenza delle carceri israeliane. Anche lui rientra in quella lunga lista nera di rappresentanti di Hamas che lo Stato ebraico ha messo nel mirino da un mese e in cui spicca Yahya Sinwar, leader dell’organizzazione islamista a Gaza. Secondo le Israel defense forces, in queste dovrebbe avvenire il completo accerchiamento della città, dopodiché inizierà la battaglia all’interno del centro abitato. Una battaglia che per analisti e Idf potrebbe essere estremamente lunga, visto che uno dei principali obiettivi è quello di distruggere la rete di tunnel senza però mettere a rischio un numero elevato di militari, di civili e di ostaggi.

Il piano è quello di fare ampio uso di forze speciali, tecnologie e raid aerei. Un piano che, se da un lato richiede tempo, dall’altro non esclude però il rischio che nei raid siano coinvolti civili. Ieri le Tsahal hanno riaperto un corridoio per far uscire da Gaza i residenti. Ma le dichiarazioni del portavoce del Pentagono sono apparse lapidarie: “I morti civili a Gaza sono migliaia”. Crude sono state anche le parole del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ieri ha annunciato aiuti per 1,2 miliardi, e secondo il quale Gaza “sta diventando il cimitero dei bambini”. Se la Striscia è in questo momento il centro di tutto, a preoccupare sono inoltre gli altri due “fronti”: il Libano e la Cisgiordania. Dal Paese dei cedri ieri sono stati lanciati circa 30 razzi contro il nord di Israele. Di questi, 16 sono stati rivendicati dal braccio libanese di Hamas, il cui capo dell’ufficio politico, Osama Hamdan, ha dichiarato che il suo popolo “non accetterà un nuovo governo di Vichy a Gaza”, riferendosi alle ipotesi sul futuro dell’exclave. Le Idf hanno risposto ai razzi con missili contro le postazioni di Hamas e di Hezbollah, longa manus di Teheran al confine di Israele.

Israele e Usa temono soprattutto gli ordini che arrivano dall’Iran, il cui presidente, Ebrahim Raisi, è atteso alla fine della settimana in Arabia Saudita per il vertice dell’Organizzazione della cooperazione islamica. L’altro punto interrogativo è la Cisgiordania, dove gli osservatori temono che la situazione degeneri in un conflitto più ampio. Ieri, i media locali hanno riferito che le forze di difesa di Israele hanno ucciso quattro miliziani palestinesi legati a Fatah e Hamas. Sul dossier ostaggi, le trattative continuano, con Biden che ha inviato nella regione anche il direttore della Cia, William Burns. Prosegue, infine, la fuga dei civili stranieri dalla Striscia. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, tutti gli italiani che hanno voluto abbandonare la regione sono riusciti a uscire.