Molte pagine, ma niente sui soldi
Giustizia e Recovery, il piano confuso del governo che non tocca il potere dei Pm
La bozza del piano predisposto dal Governo per la gestione dei miliardi, che saranno attribuiti all’Italia nell’ambito del Recovery Fund, dedica ben 11 pagine (da 29 a 39), su 124, alle riforme in tema di giustizia. È il primo argomento, in tema di riforme di sistema, a essere affrontato. L’esordio afferma quella che, dopo essere stata ripetuta inutilmente per vari decenni, è divenuta una banalità: «Nelle loro decisioni di investimento, le imprese hanno bisogno di informazioni certe sul quadro regolamentare, devono poter calcolare il rischio di essere coinvolte in contenziosi commerciali, di lavoro, tributari o in procedure di insolvenza; devono poter prevedere tempi e contenuti delle decisioni».
Segue, poi, l’enumerazione degli interventi normativi e materiali per raggiungere l’obiettivo. Quanto ai primi, il documento richiama i disegni di legge già presentati in Parlamento e che riguardano il processo civile, il processo penale, l’ordinamento giudiziario e il Consiglio Superiore della Magistratura. Quanto ai secondi, si prevede un maggiore utilizzo dei giudici onorari e l’immissione temporanea di personale necessario per convertire in modo efficiente la macchina della giustizia. I vari punti meritano di essere considerati con attenzione, a dispetto dell’estrema superficialità con cui sono trattati nel documento.
La prima osservazione è che un concetto, correttamente considerato decisivo nell’introduzione, è poi totalmente ignorato nel successivo sviluppo. Alla prevedibilità del contenuto delle decisioni non è dedicato neppure un cenno, sebbene si tratti di un aspetto fondamentale per giudicare l’affidabilità di un sistema giustizia. È certamente un tema assai delicato, coinvolgendo questioni quali quelle dell’indipendenza del singolo magistrato, della responsabilità di chi giudica, della necessità di non ostacolare l’evoluzione giurisprudenziale. Tuttavia, il problema esiste e chi ha esperienza di investimenti esteri in Italia sa che, dopo la prima o al massimo la seconda esperienza di giustizia cervellotica, l’investitore fugge. Del resto, che la giustizia debba svolgersi secondo binari di ragionevolezza è consapevole lo stesso documento, laddove prevede (p. 31) che l’amministrazione della giustizia debba essere considerata soggetto danneggiato nel caso di lite temeraria. Perciò, sì alla sentenza anche se priva della più elementare base giuridica, no alla lite infondata. Se si passa, poi, a considerare le riforme delle procedure, che dovrebbero accorciare i tempi della giustizia, il cuore è costituito dall’attribuzione di un ruolo centrale ai riti e agli strumenti alternativi. In sede civile è prevista la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, «in un’ottica di forte intensificazione del ricorso a questi ultimi».
Sennonché si tratta di una prospettiva perseguita ormai da vari decenni e che ha dato sinora risultati poco significativi. Quale sia la bacchetta magica che possa assicurare in futuro destini migliori a questa soluzione non è dato comprendere. Sognare non costa niente! Con riferimento alle procedure volte a definire l’insolvenza delle imprese, il piano fa affidamento sull’entrata in vigore, il 1° settembre del 2021, del nuovo codice della crisi di impresa. Ma tutti sanno che quel codice è stato formulato avendo riguardo a un mercato in buona salute, nel quale le imprese malate vengono subito o risanate o espulse per fare spazio a nuove iniziative. Ebbene, la previsione di tutti è nel senso che il mercato italiano sarà un malato grave per molto tempo. Certamente ben oltre il 2021. Pensare di risolvere i problemi di una economia, che vede le imprese in generale grave difficoltà, facendo entrare in vigore quel codice è puro avventurismo.
In sede penale, dovrebbe essere conseguita una «drastica riduzione dei casi in cui il procedimento sfocia nel dibattimento», il quale dovrebbe essere riservato a un numero residuale di casi, «come avviene nel sistema statunitense, dove la gran parte dei procedimenti è definita mediante diverse forme di plea bargaining». Evidentemente, chi ha redatto il documento non è al corrente di due aspetti. Il primo è che, dietro il paravento della obbligatorietà dell’azione penale e attraverso la sistematica disapplicazione della regola che impone al pubblico ministero di ricercare anche le prove a favore dell’imputato, il numero delle accuse del tutto cervellotiche è in Italia altissimo: nei vari gradi di giudizio si definisce con un’assoluzione ben oltre il 50% dei processi. È davvero incomprensibile come si possa pensare di indurre gli interessati a definire questi casi con un patteggiamento. Molto più proficuo sarebbe tenere conto delle imputazioni a vanvera nella valutazione di carriera dei pubblici ministeri.
Il secondo aspetto è sorprendente ove si consideri che il piano è stato redatto da un Governo, espressione di una coalizione che si dichiara fondamentalmente ispirata a principi di solidarietà. È noto a tutti che il successo del patteggiamento negli Stati Uniti trova la sua ragione primaria nella difficoltà economica per le classi meno abbienti di sostenere i costi di una difesa. Suona, perciò, davvero strano il riferimento a quel sistema. Da ultimo, una incongruenza. Il documento si riferisce alle varie forme di plea bargaining. E infatti, negli Stati Uniti è previsto anche un tipo di patteggiamento che non lascia alcuna conseguenza sulla successiva vita della persona, salvo la pena inflitta.
Il patteggiamento contemplato nell’originaria formulazione del codice Vassalli era configurato esattamente in questi termini, ma, dagli anni Novanta e sino ai giorni nostri, si è assistito a una progressiva demolizione di quell’istituto, che ormai è assimilato a tutti gli effetti a una vera e propria sentenza di condanna, con tutte le relative conseguenze negative in tema, ad esempio, di possibilità di avere rapporti con la pubblica amministrazione o di onorabilità per l’accesso a determinate cariche. Di cosa si tratta? Di una “battuta” o di un radicale cambio di rotta su un tema così sensibile, senza alcun adeguato dibattito in sede politica?
Infine, le risorse: personali e materiali. Per queste ultime c’è poco da dire, atteso che il documento non contiene alcuna cifra. Si tratterà, come al solito per la giustizia, delle briciole. Vale la pena, tuttavia, sottolineare che a p. 38 si prevedono per l’ennesima volta interventi di edilizia carceraria, nella prospettiva di rafforzare quell’effetto preventivo, che per larga parte dell’attuale Parlamento è lo scopo principale della pena, a dispetto della finalità rieducativa prevista dall’art. 27 della Costituzione. Per quello che concerne le risorse personali, due notazioni. La prima è che è previsto un ricorso massivo, persino in Cassazione, ai giudici onorari. Dunque, a questo ruolo di precari della giustizia, già oggi oggetto di uno sfruttamento spesso ignobile, è assegnato un compito decisivo per il superamento della crisi. Ma l’amore per il precariato non finisce qui. Anche la riorganizzazione e la modernizzazione degli uffici dovrebbero avvenire attraverso l’impiego temporaneo di gruppi di specialisti (altre task force?).
Senza considerare che il vero tema è la riqualificazione e la motivazione del personale, da troppo tempo abbandonato alla buona volontà dei singoli. In conclusione, un piano vago, confuso, spesso contraddittorio. Il Presidente del Consiglio ha scritto, nella premessa al piano Next Generation Italia, «per uscire da questa crisi e per portare l’Italia sulla frontiera dello sviluppo europeo e mondiale occorrono (sic) un progetto chiaro, condiviso e coraggioso per il futuro del Paese».
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