Al Csm, l’Organo di autogoverno della magistratura, si utilizzano due pesi e due misure. Per decidere se Piercamillo Davigo debba “rimanere” consigliere si chiede un parere all’Avvocatura dello Stato. Per decidere se Pasquale Grasso debba “diventare” consigliere si chiede, invece, un parere all’Ufficio studi del Csm. Una premessa è d’obbligo: il tema è molto tecnico, da addetti ai lavori, e certamente non appassiona il grande pubblico. Ciò non toglie che l’argomento vada approfondito in quanto la composizione del Plenum di Palazzo dei Marescialli determinerà quali saranno le nomine dei capi degli uffici giudiziari nei prossimi due anni. Soprattutto le nomine dei procuratori che, godendo di enorme discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, ad iniziare dai criteri di priorità circa la trattazione dei fascicoli, condizioneranno le future scelte di politica giudiziaria del Paese.

Iniziamo allora da Davigo. L’ex pm di Mani pulite fra venti giorni compie settanta anni, l’età massima per il trattenimento in servizio dei magistrati. La sorte, dal giorno dopo, sarebbe scontata: a casa a Milano. Sarebbe, il condizionale è d’obbligo, in quanto i suoi supporter da mesi stanno spingendo per una interpretazione estensiva della norma. Essendo l’incarico di consigliere elettivo, dicono i davighiani di stretta osservanza, deve durare per tutto il periodo previsto. Quindi un quadriennio. Rispedita al mittente ogni obiezione sul punto. Come quella, ad esempio, che Davigo da pensionato non sarebbe più sottoposto, come tutti i magistrati in servizio, alle regole disciplinari. In caso l’ex pm di Mani pulite commettesse un illecito quale sanzione potrebbe dargli la Sezione disciplinare? Nessuna.

Il Csm, pur consapevole che la permanenza del pensionato Davigo sarebbe un unicum senza precedenti, ha deciso nei giorni scorsi di chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato. Parere che, va detto, non ha alcun valore, non essendo vincolante. Allora perché chiederlo? Perché Davigo pare avere un consenso trasversale e la sua permanenza al Csm è strategica per il mantenimento degli attuali rapporti di forza che si sono creati dopo lo scoppio del Palamaragate. Insomma, anche se Nello Rossi, toga storica di Md e direttore della rivista della magistratura progressista Questione giustizia, ha apertamente manifestato il suo dissenso sulla permanenza del pensionato Davigo al Csm, molti suoi colleghi di sinistra hanno una idea diversa. Il parere dell’Avvocatura sarebbe, quindi, un modo per guadagnare tempo e cercare una convergenza fra le varie componenti che hanno adesso la maggioranza al Csm.

Altro discorso quello del giudice genovese Grasso che dovrebbe subentrare al togato Marco Mancinetti, dimessosi qualche settimana fa dopo essere stato travolto dall’onda lunga del Palamaragate. Presidente dell’Anm per soli due mesi lo scorso anno, Grasso è il primo dei non eletti alle ultime elezioni suppletive, e non a quelle iniziali del 2018, per la categoria del merito. Un cavillo su cui il Csm ha deciso di far intervenire l’ufficio studi. Grasso paga lo scotto di essere un esponente di Magistratura indipendente, la corrente di cui per anni è stato leader indiscusso l’attuale parlamentare di Italia viva Cosimo Ferri. La bestia nera della sinistra giudiziaria. Essere di Mi e, per la proprietà transitiva, “ferriano” è quanto di peggio ci possa essere in questo momento storico per un magistrato. Tre dei cinque consiglieri che vennero beccati lo scorso anno all’hotel Champagne con Palamara a discutere di nomine erano proprio di Mi.

In questa bagarre, si inserisce poi il procedimento disciplinare nei confronti di Luca Palamara che, con l’avallo del Quirinale, si punta a chiudere la prossima settimana dopo un processo sprint. Il magistrato romano, oramai è evidente, è destinato al ruolo di capro espiatorio.
La recente circolare del procuratore generale Giovanni Salvi garantisce l’immunità per tutti i magistrati che tempestavano di messaggi Palamara per autosponsorizzarsi. La “petulanza” non è illecito, ed anche se è il magistrato fosse stato gravemente scorretto potrà essere perdonato per fatto lieve. Una linea definita “morbidissima”. Silenzio tombale a tal proposito da parte del ministro della Giustizia. L’esercizio dell’azione disciplinare spetta infatti anche al titolare di via Arenula. Bonafede è d’accordo con la decisione di Salvi di perdonare, tranne Palamara, tutti? Chi tace, acconsente.