Il senatore Nicola Morra non ne sa molto di mafia e antimafia, però è un davighiano di ferro e in virtù di questa sua fede è stato nominato presidente della commissione parlamentare antimafia. Per la verità neppure Davigo ne sa molto di mafia, però Davigo ha una passione smodata per il carcere e siccome i mafiosi stanno bene in carcere un po’ di davighismo è sempre opportuno. Del resto la tendenza a chiamare a presiedere l’antimafia una persona che ne sa poco di mafia non è recente. Rosy Bindi non ne sapeva molto più di Morra. Non è questo il luogo dove porre la questione, ma prima o poi andrà posta: ha ancora senso la commissione antimafia? Sarà il caso di abolirla visto che non ha alcuna utilità e spesso fa danni?

Comunque volevo parlarvi di una questione che – evidentemente – non ha niente a che fare né con Davigo né con l’antimafia. E quindi questa premessa che ho fatto è molto pretestuosa e potrebbe persino far venire idee sbagliate a chi legge. Succede. Voglio parlarvi della pensione dei magistrati e di un emendamento al Decreto scarcerazioni presentato – credo casualmente – proprio da Morra e che – per evidente coincidenza – ha a che fare forse con Davigo. Mi spiego: attualmente i magistrati devono andare in pensione a 70 anni. A ottobre Davigo compie 70 anni. Se non si trova una scappatoia, non solo dovrà andare in pensione ma dovrà anche lasciare il Csm che è composto per due terzi da magistrati e per un terzo da giuristi eletti dal Parlamento. Siccome Davigo non è un giurista e non è eletto dal Parlamento, può stare in Csm solo come magistrato, e se da ottobre non è più magistrato non può più stare nel Csm. Davigo però non ha nessuna voglia di lasciare il Csm. Lo ha dichiarato. Non solo, se lascia il Csm viene a mancare la maggioranza “rosso bruna” (“Area” cioè i togati di sinistra, più i laici 5Stelle, più i togati di estrema destra di “Autonomia e Indipendenza” e cioè, appunto, i davighiani) che governa il Consiglio Superiore. Capite bene che è un bel casino. Cambiano tutti rapporti di forza e di potere in un luogo che, abbiamo scoperto in questi giorni, con la giustizia magari c’entra poco ma con il potere c’entra eccome.

E allora – sebbene, a quanto lui giura, del tutto all’insaputa di Davigo – si sono messe in moto varie forze per trovare una soluzione. Le possibili vie d’uscita sono due. La prima è quella di disporre di una maggioranza certa in Csm che voti, in violazione delle norme stabilite, per la proroga del mandato di Davigo. Questa maggioranza però è molto incerta. Per blindarla – pare – sono in corso scambi e mercati vari. Sempre all’insaputa di Davigo. Il quale, ad esempio ha votato per Prestipino procuratore di Roma, sebbene la sua corrente fosse compatta su Viola e contro Prestipino e persino il capo del suo partito (Marco Travaglio) fosse contro Prestipino (Prestipino, preciso, è la longa manus di Pignatone), ma sicuramente non ha fatto questa scelta per ottenere qualche vantaggio e qualche aiuto da parte dei consiglieri influenzabili da Pignatone, ma lo ha fatto solo perché ha avuto una illuminazione improvvisa di tipo etico-intellettuale. Davigo è fatto così. Ora però, col Palamara-gate in pieno svolgimento, le cose si complicano ed è impossibile prevedere come potrebbe andare, a ottobre, un voto su Davigo sì o Davigo no.

E allora c’è la seconda via d’uscita. Che è una via parlamentare. Una legge apposita. Diciamo una vera e propria legge “ad Davigum” (si diceva così ai tempi di Berlusconi…) che sposti il limite della pensione dai 70 ai 72 anni. Bisogna far presto, però, sennò, con le ferie estive, ottobre arriva e Davigo è perduto. E così è successo che Fratelli d’Italia e Pd – separatamente a assolutamente all’insaputa di Davigo – hanno presentato un emendamento pro-Davigo al Decreto Coronavirus. Noi del Riformista ce ne siamo accorti, lo abbiamo scritto, e Davigo s’è arrabbiato molto con noi. Non solo, ma in commissione l’emendamento è stato considerato irricevibile perché qualcuno ha fatto notare che la pensione di Davigo non ha molto a che fare con la lotta al Covid. Sembrava finita lì. Invece no.

Ecco Morra, citato all’inizio di questo articolo, seppur a sproposito. Morra ha preso l’iniziativa direttamente e in piena Magistratopoli – e cioè in una situazione nella quale la credibilità della magistratura è sotto lo zero – ha presentato un emendamento pro-Davigo al decreto scarcerazioni. Sempre per spostare di due anni il limite invalicabile della pensione. Perché questa strategia degli emendamenti a provvedimenti che non c’entrano niente? Perché una legge apposita non avrebbe la possibilità di essere approvata, e soprattutto non certo nei tempi necessari per Davigo. E poi perché è possibile che l’emendamento sfugga ai giornali e vada al voto un po’ alla chetichella. Stavolta i 5Stelle pare che si siano impegnati direttamente nel sostegno all’emendamento. Che, tra l’altro, oltre che Davigo, favorirebbe diverse decine di magistrati. Anche perché, per sicurezza, il provvedimento avrebbe addirittura valore retroattivo e farebbe tornare ai propri posti magistrati già in pensione, creando un casino davvero indescrivibile in alcune Procure. Succede anche questo: quando ci sono dei principi da difendere…
Adesso bisognerà vedere come finirà questa vicenda.

Se in Parlamento esiste o no una maggioranza di persone – come dire? – con qualche dignità, capaci di mandare a quel paese Morra, Davigo, 5Stelle e tutto questo piccolo esercito di “puri”, alcuni inconsapevoli, altri a propria insaputa. Se invece Morra e i suoi ragazzi ce la faranno, e salveranno Davigo, in piena magistratopoli (e con le intercettazioni Palamara-Davigo sparite grazie, forse, a un trojan amichevole e intelligente) vorrà dire che non c’è nessuna speranza. Che viviamo in uno Stato guidato da una vera e propria dittatura del partito dei Pm. E che conviene, a ciascuno, trovare una soluzione individuale per salvarsi. In attesa che prima o poi salti tutto e torni la democrazia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.