Il governo rischia di cadere sulla giustizia. Il centrodestra ha presentato una mozione di sfiducia personale contro il ministro Bonafede e spera di ottenere i voti di Italia Viva e magari di qualche Pd dissidente. In questo modo potrebbe raggiungere la maggioranza. Se Bonafede dovesse essere sfiduciato ci sarebbe un effetto domino. Bonafede non è un personaggio minore nel modesto Gotha dei 5 Stelle. È un big. Se cade lui la crisi diventa inevitabile. E si verrebbe a creare una situazione molto curiosa. Un ministro giustizialista in massimo grado – credo il più giustizialista della storia della Repubblica – abbattuto da un attacco della destra presunta garantista che lo accusa di eccesso di garantismo per avere permesso la scarcerazione di alcune centinaia di detenuti non pericolosi, malati e a fine pena. Il ministro ora è sotto il tiro incrociato della magistratura super-manettara, in particolare di Nino Di Matteo e del suo capocorrente Piercamillo Davigo, e contemporaneamente della destra parlamentare che, almeno nella sua parte liberale, non ama Di Matteo e Davigo.

La mozione contro Bonafede è stata scritta dai leghisti e dunque è tutta puntata a denunciare la poca grinta di Bonafede come carceriere. E però è firmata anche da Forza Italia che al contrario contesta il ministro per le sue scelte giustizialiste (prescrizione, trojan, intercettazioni, spazzacorrotti, stretta carceraria, etc…). Diciamo la verità: un pasticcio che non finisce più. Come del resto è stato un gran pasticcio lo scontro feroce tra l’ex Pm e attuale membro del Csm Nino Di Matteo (adorato dai 5 Stelle) e il ministro 5 Stelle Bonafede. Come si spiega questo guazzabuglio? Levatevi dalla testa che sia uno scontro di idee e tantomeno di ideali e di principi. Non c’è nulla di tutto questo. Quando in politica due idee vengono in conflitto, i contorni dello scontro sono sempre chiari. Diventano invece confusi quando lo scontro è tra interessi diversi. E ancora più confusi quando è solo una questione di poltrone.

Beh, in questo caso è esattamente così. Nella magistratura italiana si è aperto uno scontro furibondo sulle poltrone. Soprattutto dopo il ciclone-Palamara, e cioè il gioco delle intercettazioni che fecero cadere molte teste eccellenti, anche al Csm e in Cassazione, e misero allo scoperto gli scambi di potere tra le correnti della magistratura, del tutto estranei alle ideologie e al pensiero politico o giuridico. Qui le cose sono ancora più terra terra. Sicuramente una delle micce che hanno acceso questo incendio è la battaglia per la poltrona di capo del Dap (assai ambita perché pagata moltissimo in termini di stipendio) negata da Bonafede a Di Matteo. Ma poi c’è un problema ancora più grande. La permanenza di Piercamillo Davigo (che è ben più potente del suo pupillo Di Matteo) al Csm.

Le cose stanno così. Davigo ha 69 anni e mezzo. A ottobre ne compie 70. E a quel punto scatta la pensione. Non si può fare niente per evitarla, la legge è legge. Davigo ha provato a sondare l’ipotesi che per un consigliere del Csm questa barriera dei 70 possa non valere. Gli uffici del Csm però sono stati chiarissimi e spietati: vale per tutti. Il giorno del compleanno, carriera finita.  A questo punto la battaglia si è riaperta in Parlamento. Un gruppo di deputati di Fratelli d’Italia (opposizione-opposizione, e anche abbastanza amica dell’estrema destra della magistratura della quale fanno parte Di Matteo e Davigo) ha presentato un emendamento al decreto anti-covid. Si tratta del decreto sull’accesso al credito per le imprese e sugli interventi urgenti in materia di salute e lavoro. I deputati di Fratelli d’Italia chiedono l’introduzione dopo l’articolo 36 di un articolo 36 bis che potremmo anche chiamare emendamento salva-Davigo. Voi dite: e che c’entra Davigo con il salvataggio delle imprese? Niente, però era questo forse l’unico modo per provare a salvarlo.

Non ci credete? Leggete qui: «Al fine di assicurare l’espletamento dei compiti assegnati dalla legge ai rispettivi servizi di preminente interesse generale … è aumentata di due anni l’età di collocamento d’ufficio a riposo per raggiunti limiti di età…dei magistrati ordinari,amministrativi, contabili, militari etc etc…». È il testo dell’emendamento. L’ho copiato senza cambiare una virgola. Ho lasciato anche quell’accenno all’interesse generale che è di una comicità monumentale.
Capito? Se passa, Davigo è salvo. Però… Però in commissione l’emendamento è stato dichiarato inammissibile. E a quanto sembra è stato proprio il ministro a dire ai suoi di bocciare l’emendamento. Ora c’è sempre la possibilità di ripresentarlo in aula, ma i davighiani, al momento, sono furibondi col ministro. Perché non ha difeso la poltrona di Davigo?

Ecco, se volete capire cosa è successo nella politica italiana in questi giorni e perché Bonafede rischia, partite da qui. Lasciate stare le grandi idee. Levatevi dalla mente la convinzione che gran parte delle battaglie dei Pm partano da principi nobili. Non è così. Mi ricordo un famoso cronista sportivo dell’Unità, si chiamava Gino Sala, che finiva quasi tutti i pezzi di costume con questa frase: «… è solo una questione di cadreghino». Mi costrinse ad andare a cercare il significato di questa parola, che non conoscevo. Cadrega vuol dire poltrona, scranno.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.