L'intervista
Intervista a Gherardo Colombo: “Con Davigo divergenze, magistratura oggi è al discredito”
Ex pm, protagonista della stagione di Mani Pulite, oggi Gherardo Colombo è tra più acerrimi avversari del sistema carcerario come dimostra anche il suo ultimo libro Il perdono responsabile. Perché il carcere non serve a nulla: «Secondo me – ci spiega – il carcere da noi non rieduca se non eccezionalmente. Perché il carcere nel modo di pensare generale ha una funzione diversa da quella del rieducare: ha la funzione del punire, e quindi punisce».
Tutto l’opposto di quello che dice la Costituzione.
Esatto. La Costituzione, all’articolo 27, prevede che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato, anche attraverso l’umanità del trattamento. Richiederebbe cioè che la persona detenuta prenda coscienza della dignità dell’altro e della sua inviolabilità.
E invece così non accade.
Mi verrebbe da dire che accade il contrario. Il carcere oggi insegna a sottomettersi e umilia chi vi è ristretto. A mio parere non è compatibile con la nostra Costituzione.
Quali sono le carceri che ha visitato di persona?
Da magistrato sono stato in molte sale colloqui, che non vuol dire visitare il carcere. Ho visto San Vittore durante il tirocinio, e ho iniziato a frequentarlo da volontario nel 2007, dopo che mi sono dimesso dalla magistratura. Tutti i mesi, da tredici anni e fino al Covid, ho partecipato al corso di legalità nel reparto di trattamento avanzato per tossicodipendenti, la Nave. A vario titolo ho partecipato ad attività in vari istituti, tra cui Opera, Bollate, Verona, Torino, Genova, Padova, Rebibbia, Regina Coeli e tanti altri.
E quando va da volontario, cosa fa?
Dialogo con i detenuti sul tema delle regole e della legalità.
La rieducazione che dovrebbe fare il carcere.
E che molto limitatamente solo alcuni istituti fanno. Per fare in modo che una persona si renda conto della dignità dell’altro, bisogna che possa rendersi conto della dignità propria. A mio parere la detenzione, quindi, dovrebbe essere limitata a chi è pericoloso, per il tempo in cui è pericoloso, e in una condizione in cui siano garantiti tutti i suoi diritti che non confliggono con la sicurezza delle collettività.
Quali sono i diritti più spesso negati?
Il diritto allo spazio vitale, all’igiene, alla cura della salute, all’istruzione, all’affettività.
Con l’emergenza Covid le difficoltà ovviamente si sono moltiplicate.
Si sono moltiplicate e hanno reso ancora più pesante la detenzione. Credo che in tanti fossero angosciati, nella fase acuta della pandemia, dal non avere contatti con i propri cari, della salute dei quali non avevano notizie. Il che ovviamente non giustifica l’uso della violenza, che è in sé la negazione del principio del riconoscimento della dignità altrui, da qualunque parte provenga.
Ha incrociato l’impegno politico dei radicali su questi temi?
Più di una volta mi sono incrociato con Nessuno Tocchi Caino, con Rita Bernardini e con altri, dei quali apprezzo l’impegno. Credo sia fondamentale lo stimolo a occuparsi del carcere che viene da loro e da Radio Radicale
Peccato che il mondo politico sia invece spesso disattento.
Non credo sia del tutto disattento, credo che tante parti del mondo politico stiano molto attente ai riflessi elettorali. Che è una cosa diversa.
Lei ha mai pensato di dedicarsi alla politica?
Ho ricevuto più di una proposta, ma ho sempre detto di no.
Quelli che dicono “buttiamo via la chiave” lo fanno per convenienza elettorale?
O anche per convinzione personale. In Italia è così diffusa l’idea che chi ha commesso un reato poi debba soffrire, che quando si vota tanti scelgono chi dice e promette di garantire le stesse cose.
Non siamo più il paese di Cesare Beccaria.
Per certi versi non lo siamo mai stati. Dovremmo fare analisi un po’ articolate: nel 1764 quante erano le persone che potevano aver letto il suo trattato Dei delitti e delle pene? Soltanto chi sapeva leggere, e quanti erano?
A proposito di libri. Qualche anno fa uscì con Longanesi un volume scritto a quattro mani, sue e di Davigo, il cui titolo diceva tutto: “La tua giustizia non è la mia”. Due visioni diverse tra colleghi dello stesso pool.
Abbiamo lavorato a lungo insieme Piercamillo ed io, abbiamo avuto momenti di divergenza, c’è stata qualche discussione, ma è successo raramente. Il diverso modo di vedere le cose non ha influito sul rispetto delle regole del processo da parte di entrambi.
Avete un approccio culturale diverso.
Molto diverso.
Lei non direbbe mai che è pieno di colpevoli che la fanno franca o che certe volte non vale neanche la pena di aspettare le sentenze…
Non so se Piercamillo ha detto proprio così. Certo bisogna considerare anche chi, oltre a chi la fa franca, finisce in carcere senza aver commesso un reato.
Cosa si può cambiare del processo penale senza ledere il diritto all’oralità della difesa?
Non soltanto all’oralità, ma a tutte le prerogative della difesa. Bisogna cambiare tanto. Bisogna partire da lontano: perché il processo penale possa funzionare è necessario in primo luogo che si depenalizzi molto. Perché ormai tutto diventa penale, o quasi.
Va operata una distinzione tra fattispecie, e depenalizzare quelle di tipo amministrativistico?
La depenalizzazione deve essere molto ampia. Le faccio un esempio, cancellare la timbratura del biglietto dell’autobus per riutilizzarlo è reato, sarebbe invece sufficiente una sanzione amministrativa. Occorrerebbe procedere allo stesso modo per tante fattispecie E poi, soprattutto, serve un intervento educativo.
Educare alla prevenzione dell’illegalità?
Sia attraverso la scuola sia attraverso i mezzi di comunicazione. Oggi molto frequentemente, in modo inconsapevole, anziché educare al rispetto dell’altro, si educa a un rapporto di sopraffazione e sottomissione. Bisogna fare in modo che l’intervento penale diventi residuale anche grazie al fatto che la stragrande maggioranza delle persone evita di commettere reati. Ora, invece, in Italia ogni anno arrivano alle Procure quasi tre milioni di notizie di reato, ed è davvero difficile gestirle.
Viviamo la più grave crisi di fiducia verso la magistratura.
Il tasso di considerazione nei confronti della magistratura è aumentato durante gli anni del terrorismo, poi con gli omicidi di tanti magistrati a opera anche della mafia. E all’inizio di Mani Pulite. In una situazione di normalità io credo che la considerazione della magistratura non possa essere eccezionale, anche perché è connaturato alla funzione che ci sia sempre qualcuno che ha da lamentarsi (chi perde la causa, per esempio). Oggi mi pare che siamo al discredito, credo per quel che accade all’interno della magistratura.
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