Mancano settantacinque giorni alla cessazione dalle funzioni giudiziarie del Dott. Davigo, e prosegue il silenzio di tutti i consiglieri del Csm su quello che ormai si può definire un vero e proprio caso e che si preannuncia come tormentone estivo, paradigmatico della poca trasparenza di questa consiliatura di Palazzo dei Marescialli sulle proprie dinamiche interne, come se il Csm fosse una associazione privata e non un organo di natura costituzionale che governa di fatto l’amministrazione della giustizia. Ad aprile di quest’anno, in un approfondito contributo sulle pagine della rivista Diritto di Difesa, abbiamo evidenziato come l’esercizio delle funzioni giudiziarie sia da considerarsi requisito necessario per la permanenza nella carica del componente togato del Consiglio superiore della magistratura. Siamo poi ritornati sul tema, in forma più discorsiva, sulle pagine di questo giornale, parlando del caso specifico del Dott. Davigo, il pubblico ministero diventato Presidente di una sezione della Corte di Cassazione.

Abbiamo preso atto del silenzio imbarazzato del Csm, della magistratura associata, delle varie “correnti”, e di alcuni pubblici ministeri che si pongono come paladini della legalità nei loro scritti e nelle loro attività sui media e sui social network, sempre più soggetti politici pronti a discettare su tutto, tranne che sulle regole del Csm quando le stesse toccano la propria corrente. La mancata pronuncia di Palazzo dei Marescialli sulla posizione del Dott. Davigo ha iniziato a smuovere alcune coscienze nella magistratura. Qualche giorno fa c’è stato l’intervento del direttore della rivista di Magistratura Democratica, il magistrato Nello Rossi, che ha ripreso tutte le nostre argomentazioni esposte sulla rivista dei penalisti italiani. La conseguenza? È iniziata una campagna di stampa a favore della permanenza in carica ad personam, con alcune fantasiose tesi. Siccome la Costituzione stabilisce che i consiglieri durano in carica 4 anni, gli stessi possono restare in carica anche se cessano dalle funzioni giudiziarie (requisito essenziale per la carica di consigliere togato). Insomma, una incoronazione, non una normale elezione di un magistrato in servizio. Altro argomento: la legittimazione elettorale. È stato votato pur essendo gli elettori a conoscenza della sua prossima cessazione dalle funzioni giudiziarie, quindi può restare in carica. Il voto, dunque, come fonte superiore alla legge. E fa niente se, sempre grazie al voto, come primo dei non eletti subentrerebbe un magistrato di un’altra corrente, mica si può sovvertire la geografia delle correnti in seno al Csm per colpa del voto!

Pare che la decisione sia già stata presa se il Dott. Davigo è stato scelto come giudice disciplinare di un procedimento che proseguirà ben oltre la data della sua pensione. In questo caso la decisione sarebbe stata presa in gran silenzio, speriamo non durante una cena o in un hotel, senza un minimo di comunicazione esterna. Eppure il Consiglio di Stato si è già espresso su un caso simile, con parole che non lasciano spazio a interpretazioni, nemmeno per i tifosi: «Se, infatti, per “autogoverno” deve intendersi un sistema in virtù del quale la gestione e l’amministrazione di una determinata istituzione è affidata ai suoi stessi esponenti, nella specie attraverso un organo costituito in base ad un principio di rappresentatività democratica, ne discende che la qualità di appartenente all’istituzione medesima (nella specie, l’ordine giudiziario) costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile per l’esercizio della funzione di autogoverno, e non solo per il mero accesso agli organi che la esercitano.

In altri termini, il fatto che il legislatore non abbia espressamente previsto la cessazione dall’ordine giudiziario per quiescenza fra le cause di cessazione della carica di componente del C.S.M. dipende non già da una ritenuta irrilevanza del collocamento a riposo, ma dall’essere addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare. Di conseguenza, del tutto legittima è una lettura dell’art. 39, l. nr. 195/1958 laddove prevede il subentro del primo dei non eletti in caso di cessazione dalla carica “per qualsiasi ragione”, ben potendo ricomprendersi in tale ampia formula anche l’ipotesi suindicata senza alcuna indebita estensione analogica di norme eccezionali e senza alcuna violazione dei principi di rango costituzionale».

Cosa accadrà, dunque, se il Dott. Carmelo Celentano (Unicost), che dovrebbe subentrare quale primo dei non eletti, a fine ottobre procederà con un ricorso? Per quali motivi, nel caso, non vi procederà? Provvederà, allora, la Dott.ssa Rita Sanlorenzo (AreaDG), seconda dei non eletti? Cosa accadrà al procedimento disciplinare se il ricorso sarà accolto? Cosa accadrà al procedimento disciplinare se gli incolpati a fine ottobre solleveranno l’eccezione nei confronti del Dott. Davigo? Per quali ragioni il Csm inizia un procedimento disciplinare con la possibilità che lo stesso venga bloccato o annullato per la permanenza nella carica, di consigliere togato e di giudice disciplinare, di un magistrato che cesserà le sue funzioni nel corso del procedimento? Meno settantacinque giorni all’alba di questa lunga notte del Csm e sapremo anche noi comuni mortali.

Rinaldo Romanelli, Giorgio Varano

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