È arrivato ieri mattina, direttamente dalle colonne di Questione giustizia, la rivista di Magistratura democratica, l’avviso di sfratto dal Csm per Piercamillo Davigo. Il termine ultimo è stato fissato per il prossimo 20 ottobre, giorno in cui l’ex pm di Mani pulite compirà 70 anni, l’età massima per il trattenimento in servizio per i magistrati. È stato affidato a Nello Rossi, storico esponente delle toghe di sinistra di Md, ora alleate con quelle davighiane al Csm, il compito di comunicare al Dottor sottile, con un lungo e dettagliato articolo, che dopo l’estate dovrà iniziare a svuotare il suo ufficio a Palazzo dei Marescialli. L’ulteriore permanenza di Davigo a piazza Indipendenza sarebbe, scrive Rossi, «in netto contrasto con la legalità e la funzionalità dell’organo e con le esigenze di rappresentatività e di legittimazione che devono caratterizzare l’attività del Consiglio Superiore». In caso qualcuno volesse a tutti i costi impedire lo sfratto di Davigo, si tratterebbe di una decisione «sbagliata ed incomprensibile».

«Davvero si pensa che Piercamillo Davigo possa rimanere in carica al Consiglio Superiore anche quando non sarà più magistrato?» è l’incipit del pezzo di Rossi che non lascia spazio ad alcun dubbio su quale debba essere il destino di Davigo. Il diretto interessato la pensa diversamente, avendo fatto intendere in più occasioni di non avere intenzione di mollare lo scranno nella sala “Vittorio Bachelet”. Una di queste circostanze è stata la comunicazione del calendario da parte della Sezione disciplinare, di cui Davigo è componente, relativo al procedimento per Luca Palamara&soci che inizierà il prossimo 15 settembre e si concluderà alla vigilia delle Festività natalizie. «Nessun presidente di tribunale adeguato al suo compito inserirebbe nel collegio che inizia un procedimento calendarizzato per più mesi un magistrato giunto alla soglia della pensione» premette Rossi, sottolineando che «se ciò avviene per la Sezione disciplinare c’è chi ipotizza che Davigo potrà rimanere in carica come consigliere e come giudice disciplinare anche quando sarà divenuto un magistrato in quiescenza».

Nello Rossi, già avvocato generale dello Stato e giurista sopraffino, elenca i motivi per i quali Davigo dopo il 20 ottobre debba fare ritorno a Milano. «Chi è eletto al Csm da tutti magistrati in servizio deve essere a sua volta un magistrato in servizio» è la premessa del ragionamento di Rossi che riporta ampi passi della legge del 1958 sulla costituzione ed il funzionamento dell’organo di autogoverno delle toghe. «Il possesso – effettivo ed attuale – dello status di magistrato nell’esercizio delle funzioni è un requisito indispensabile perché sussista la capacità elettorale passiva; e ciò in coerenza con le disposizioni costituzionali» ricorda Rossi, evidenziando che «la cessazione dello status di magistrato determina la perdita del requisito, indispensabile, della capacità elettorale passiva e produce di conseguenza l’automatica decadenza dalla carica di consigliere superiore».

Rossi, al riguardo, smentisce la fake news secondo cui esiste il “precedente” di un magistrato pensionato al Csm. «È doveroso chiarire che nel corso della sua permanenza al Consiglio Vittorio Borraccetti (il magistrato citato da chi vuole che Davigo resti al Csm anche in pensione, n.d.r.) ha ininterrottamente conservato lo status di magistrato in servizio: alla scadenza del mandato consiliare venne ricollocato in ruolo nel settembre del 2014 come sostituto procuratore presso il suo ufficio di provenienza, la Procura della Repubblica di Venezia».

Un altro aspetto preso in considerazione da Rossi riguarda la fine del giudizio disciplinare per gli ex magistrati.
«Il componente del Consiglio superiore “pensionato” si troverebbe in una posizione del tutto anomala ed eccentrica sia rispetto ai consiglieri togati del Consiglio sia rispetto alla generalità dei magistrati». E quindi: «A differenza degli uni e degli altri non sarebbe esercitabile nei suoi confronti alcuna azione per violazioni del codice disciplinare». Il già pensionato ma ancora consigliere superiore sarebbe dunque libero dai fondamentali doveri propri del magistrato ed esente da ogni possibile sanzione disciplinare per la loro violazione. Dunque, sarebbe l’immunità totale per Davigo.
Con un paradosso, in quanto «nella veste di giudice disciplinare, sarebbe chiamato a giudicare (non più i suoi pari ma) magistrati in servizio o fuori ruolo e gli stessi componenti togati del Consiglio ancora sottoposti alla giurisdizione disciplinare».

«La figura che emerge è quella di un extraneus alla magistratura che “soggettivamente” potrà mantenere condotte ineccepibili e meritevoli del massimo apprezzamento ma i cui comportamenti nella vita dell’istituzione consiliare resteranno comunque insindacabili e non sanzionabili se restano al di sotto della soglia della rilevanza penale», chiarisce Rossi.  Ma perché Davigo, allora, non molla? Perché Davigo, è quello che molti pensano, è un magistrato molto conosciuto e con un grande seguito. Il capo dei “giustizialisti”, usando il titolo di un suo libro. Ecco cosa scrive Rossi al riguardo: «Se a sostegno della perdurante presenza di Davigo in Consiglio si dovesse invocare “esclusivamente” il successo elettorale legittimamente conseguito nelle ultime elezioni, ritenendo che esso risolva in tronco ogni altra questione di diritto e di opportunità, allora dovremmo trarne una inquietante conclusione: che sono penetrati in magistratura la mentalità e lo stile di non pochi uomini politici del nostro Paese per i quali ogni principio e ogni regola di funzionamento delle istituzioni – e financo ogni discussione – possono essere spazzati via dal risultato elettorale».

«I principi e le norme sin qui richiamati valgono – scrive ancora Rossi – a risolvere sul nascere “un caso Davigo” fornendo indicazioni nettamente contrarie ad ogni idea di una sua permanenza in carica come consigliere dopo il collocamento a riposo». Se Davigo rifiutasse il 20 ottobre di mollare sarebbe «vicenda che rischierebbe di sottoporre a nuove tensioni e contraddizioni un organo già scosso dai fatti dell’ultimo anno e che deve essere risolta correttamente per consentire al Consiglio di continuare a svolgere positivamente i suoi fondamentali compiti». Ci sarà bisogno dell’intervento di Sergio Mattarella, che del Csm è il capo, per convincere Davigo?