Caro Piero, caro direttore,
non è vero, come tu scrivi in conclusione del tuo articolo, che il tuo contributo del 9 Settembre scorso non serva a niente; Io trovo invece decisivo che tu affermi che chi ha ucciso a pugni e calci Willy, non sia definito mostro, allontanandolo dunque dalla nostra natura umana, esattamente come nella logica dell’esorcismo che vuole farci espellere a forza il diabolico inquilino estraneo che ci possiede. Non c’è nessun inquilino diabolico. Quelli che hanno ucciso a calci Willy non erano diabolici, erano umani. Ragazzi che ogni notte percorrono le nostre strade, frequentano i nostri bar e le nostre birrerie, frequentano i nostri stadi, scrivono sui nostri social.

È esattamente quello che penso, mutatis mutandis, quando guardo al più grande crimine del secolo scorso, la Shoah, o anche ai grandi crimini del comunismo o ad altri terrificanti crimini contro l’umanità. Devo dire che è esattamente l’impressione che si ricava ascoltando il banalissimo male che emerge dai tentativi di giustificazione di Eichmann al processo in cui era imputato a Gerusalemme nel 1961, oppure leggendo la terrificante confessione di Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka, dove organizzò e sovraintendette all’eliminazione di circa 1,5 milioni di persone, per circa il 99% dei casi gasate all’arrivo in quei campi di pura eliminazione. Stangl racconta nello straordinario libro-intervista di Ghitta Sereny che si era occupato molto dei fiori con cui circondare le baracche dove alloggiavano le SS, e dell’amore che sprigionava in quelle poche licenze in cui tornava a casa a visitare le figlie e la moglie.

La famiglia Stangl per un periodo alloggiò a poca distanza da Sobibor, in un area dove le testimonianze dicono che l’aria fosse pregna del sapore dolciastro e terribile dei corpi bruciati a centinaia di migliaia. Qualcosa di non umanamente comprensibile, ma pur sempre umano come comportamento. Ho letto che i testimoni dicono che a Colleferro i colpevoli, abbiano infierito con i calci su quel piccolo corpo ormai senza reazione. Qualcosa che definiremmo disumano, ma che dobbiamo con terribile sincerità chiamare umano, se vogliamo capire. Sia chiaro, non sto paragonando cose incomparabili, come Auschwitz e Colleferro, ma uso l’iperbole di un paragone cosi smisurato perché voglio indagare la banalità del male e della violenza a qualsiasi misura esso si verifichi, proprio contro l’ipotesi diabolica dell’origine del male. Certo mi preme articolare una differenziazione tra la violenza esercitata da un singolo individuo e quella organizzata a monte da uno stato, o da un regime, come ancora ai nostri giorni vediamo purtroppo quotidianamente, se appena alziamo lo sguardo, e ci interroghiamo su cosa stia accadendo in Bielorussia, o in Turchia, o a Hong Kong solo per fare alcuni esempi.

Ho l’impressione che si imponga a tutti noi una grande riflessione sulla violenza, direttore, e che l’interpretazione diabolica del male, allontani da noi questa riflessione. Sulla violenza dunque, non sulla sua natura diabolica o mostruosa, ma anzi sulla sua costante umana, siamo chiamati a confrontarci. Ovviamente, anche se in quest’ottica, il dibattito non può certo, in alcun modo, sottacere un giudizio sullo stato della violenza nel mondo. Ho l’impressione, come accennato, che un’innegabile recrudescenza di forme di violenza vada di pari passo con i sintomi di un peggioramento grave dello stato delle democrazie liberali o dei regimi, in alcuni luoghi del mondo, e che in altri, dove indubbiamente il sistema democratico, pur con tutti i suoi difetti, tiene, altri innegabili problemi sociali siano il miglior terreno di coltura possibile per la violenza individuale come nel caso di Colleferro.

Non c’è dubbio, che la violenza possa essere meglio coltivata dove mancano le strutture sociali, dove mancano strutture di aggregazione, dove cresce la disoccupazione, dove circola troppa droga, quando la formazione scolastica non è buona o non si conclude, dove dilaga la discriminazione o la marginalizzazione sociale e molte altre cose. Queste non sono certo giustificazioni, sono la descrizione di un possibile contesto, non parlo qui nello specifico di Colleferro. La violenza è insita nella natura umana; è lo Stato democratico, la forma sociale alla quale abbiamo affidato l’esercizio possibile della violenza come mezzo per la difesa della libertà di ognuno. Come diceva Max Weber all’inizio del secolo scorso, lo Stato è «un’entità che reclama il monopolio sull’uso legittimo della forza fisica».

Ecco, la demolizione progressiva dell’immagine diffusa che si dà della struttura dello Stato, delle sue istituzioni democratiche, del suo scopo, le relazione di guerra guerreggiata che continuamente si sviluppa tra le forze politiche avversarie in ogni paese, ecco questa denigrazione continua della miglior forma costruita nella storia per la convivenza sociale, questa mi pare la condizione entro cui si stanno sviluppando le nuove forme, o la nuova intensità della violenza. Non c’è nessun mostro, la storia siamo noi.