Il Green Deal è la scommessa di un nuovo modello di sviluppo, il segno concreto dell’ambizione di arrivare a costruire un’Europa a emissioni zero entro il 2050. Martedì scorso, con la presentazione da parte della Commissione europea del “Fondo per una transizione equa”, è stato consumato il primo passo. L’idea è quella di costruire un volano che consenta di innescare un circolo virtuoso, trasformando la percezione delle normative ambientali, solitamente vissute come un costo e un ostacolo, in una opportunità, indirizzando le politiche industriali verso una riconversione sostenibile delle attività produttive.

Il tentativo di indirizzare il modello di sviluppo in chiave ambientalista era già stato sposato nel febbraio scorso dal partito democratico statunitense con il “Green New Deal”. Ora è la volta della Commissione europea. Ormai sviluppo sostenibile, tutela degli ecosistemi e ponderazione degli interessi tra attività produttiva, lavoro e preservazione dell’ambiente e della salute, sono i temi centrali di politica di diritto e le nuove generazioni dovranno riflettere a lungo su come trovare soluzioni equilibrate e virtuose. Tentativi simili sono molto frequenti anche in Italia, con annunci e proclami sulla rivoluzione verde. Tuttavia, al momento il quadro e il perimetro degli interventi appare ancora nebuloso, peraltro in un contesto di rigida politica di bilancio si ripropone sempre lo stesso dilemma: meglio procedere con incentivi o con tasse? Si ha come obiettivo la riconversione del sistema produttivo verso la sostenibilità o una deindustrializzazione a favore del mercato dei servizi? Quali sono le tempistiche? Soprattutto appare incerta la logica sottesa agli interventi.

È fondata su una visione ecocentrica del rapporto tra uomo e natura, in cui la seconda assume una rilevanza maggiore? Oppure su una visione antropocentrica, che pone l’uomo al centro delle politiche sociali e ambientali, che vedrebbe la preservazione degli ecosistemi come strumento di benessere dell’essere umano? Considerando anche il fatto che usualmente le politiche antropocentriche sostengono e sviluppano l’economia, mentre quelle ecocentriche la deprimono. Esempi virtuosi ci appaiono in tal senso la proposta italiana di riconvertire la produzione siderurgica limitandone la carbonizzazione e al contempo elettrificando i forni (nel caso dell’Ilva) e la fusione tra FCA e PSA nella quale, con lungimiranza, si punta alla creazione di un gigante mondiale dell’automotive con al centro della strategia di crescita la mobilità sostenibile.

Il ruolo della Unione europea in tale contesto appare centrale. Stiamo facendo una enorme scommessa economica e geopolitica in un contesto internazionale in cui il rischio reale è di perdere centralità (e potere) rispetto a coloro (Cina ed India, ad esempio) che scelte economiche ambientaliste forse non faranno se non quando (e se) costretti dagli eventi. Ma si tratta di una scommessa che, alla luce degli imminenti cambiamenti climatici e soprattutto della crescita esponenziale delle economie emergenti, non potevamo esimerci come europei di tentare. E nella Ue è decisiva la specificità dell’Italia e i suoi interessi. Specificità e interessi certamente connessi con quelli degli altri Paesi membri, anche perché restiamo l’ottava potenza mondiale per prodotto interno lordo e il secondo paese manifatturiero europeo. Tuttavia, scontiamo deficit di produttività, politiche industriali non efficienti, senza visione e durature.

Una rivoluzione green non ben gestita ed equilibrata rischierebbe di escluderci definitivamente dal club degli Stati portanti della economia mondiale. Vanno evitate ad ogni costo misure repressive (come la plastic tax, la sugar tax e surrogati vari) e si dovrebbe puntare tutto su strumenti espansivi dell’economia, indirizzati verso la sostenibilità e la preservazione degli ecosistemi (come le incentivazioni alla mobilità sostenibile). Ora ci stiamo giocando la permanenza tra i Paesi più ricchi del pianeta e l’irrilevanza (politica, culturale e sociale) è dietro l’angolo. Speriamo che la classe politica sia all’altezza, l’occasione non può essere mancata.