Il mantra del Movimento è finito nel dimenticatoio
I conti non tornano, le casse dei 5 Stelle piangono e le liti si moltiplicano: il contismo è al tramonto

C’è un partito che, malgrado sia stato costruito sulle regole, le vede tradite una dopo l’altra. Si chiama M5S e il suo leader, Giuseppe Conte, forse avrebbe qualcosa da spiegare. Secondo alcune fonti che preferiscono rimanere riservate, le casse del Movimento suonano vuote. E una delle ragioni che hanno contribuito allo svuotamento è che le campagne elettorali costano, mentre i parlamentari non stanno più facendo affluire nelle due tesorerie dei gruppi a Montecitorio e a Palazzo Madama quanto promesso.
“Restituzioni”, do you remember? Il mantra del Movimento, la parziale restituzione degli emolumenti ai parlamentari pentastellati, è finito nel dimenticatoio. Disatteso non solo dai peones ma anche dai vertici. E perfino, sussurrano, dallo stesso Giuseppe Conte che starebbe tardando a versare la sua quota al partito. Poco male, chi ci fa più caso? Lo statuto e il codice etico però ci sono. E c’è un avvocato al quale certe cose non sfuggono: Lorenzo Borré, il legale che ha assistito molti espulsi dal Movimento facendo valere le garanzie costituzionali e i diritti elementari a tutela delle scelte dei singoli eletti.
“In base all’art.3 lettera K del regolamento candidature , i parlamentari pentastellati sono tenuti a devolvere parte dello stipendio nella misura stabilita dal regolamento restituzioni. Il mancato rispetto dell’impegno costituisce la violazione prevista dall’art. 18, lettera C dello statuto ed espone gli inadempienti, nessuno escluso, alle sanzioni disciplinari, che nei casi di inadempimento assoluto ben potrebbero portare all’espulsione da parte del collegio dei probiviri”, riferisce l’avvocato Borré al Riformista. In sintesi, se fosse provato che Conte non avrebbe versato “la restituzione” al fondo cassa istituito per l’occasione, dovrebbero essere prese misure disciplinari nei suoi confronti che – stando ai precedenti – vanno dalla sospensione all’espulsione dal Movimento. Nientemeno? Appare difficile che il capo politico venga messo nell’angolo da gregari e peones. Soprattutto non può accadere in un partito che – accusa uno dei primi fondatori, Federico Pizzarotti – è diventato un partito-azienda dai tratti padronali.
“La questione è politica”, dice infatti Piazzarotti. “Non si può dare alcune ‘regole’ e poi contraddirle con il tuo operato da partito centralista, da partito padronale. È chiaro che se prima dici che ‘uno vale uno’ e poi ti accorgi che il ‘padroncino’ locale detta legge, è evidente che pensi di aver preso un abbaglio”, dice. Giuseppe Conte, con il suo modo moderato di gestire quel che resta del Movimento, è senz’altro riuscito a tenerlo a galla, ma quel che manca oggi al M5S è l’identità; non puoi essere ‘anti’ e poi trasformarti nell’opposto pensando che la gente ti resti attaccata per simpatia personale. Adesso, poi, che anche il reddito di cittadinanza è stato perso, credo che dei principi iniziali del M5s non resti proprio nulla”, conclude Pizzarotti.
Chi conosce bene il Movimento è pronto a scommettere che un ciclo si stia per chiudere. Le chat interne sono arroventate: il 2,3% che Conte ha portato a casa come media nazionale delle Amministrative lascia poco margine per le analisi incoraggianti. Di quanto Conte aveva promesso venti mesi fa, raccogliendo lo scettro del Movimento, non è stato realizzato nulla: la scuola di formazione politica non si vede, le federazioni regionali languono, le sezioni territoriali non esistono. E se all’identità debole e all’organizzazione paralizzata si sommano le mancate restituzioni dei parlamentari, si intuisce dove porterà l’inarrestabile declino a 5 Stelle. Il contismo è al tramonto: i conti non tornano e le liti interne si moltiplicano. Servirebbe un buon avvocato.
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