Qualunque sarà il nuovo assetto mondiale del commercio, non si potrà certo addolcire l’amara realtà. La decisione di Donald Trump, presa il 2 aprile, di introdurre dazi “reciproci” su vasta scala contro i partner commerciali degli Stati Uniti, passerà alla storia come uno dei più grandi atti di autolesionismo economico globale. Nessuna pausa di 90 giorni potrà annullare i danni. E mentre gli Stati Uniti e le altre nazioni ricche saranno duramente colpite, Trump ha deciso di attaccare anche i paesi più poveri, proprio quelli che dipendono maggiormente dal commercio. “Commercio libero, non aiuti” era il mantra che avrebbe dovuto sollevare il mondo in via di sviluppo dalla sua miseria economica.

Ma cosa succede se quelle nazioni impoverite del sud globale si trovano prive di entrambi? Il bersaglio principale di questa guerra economica è chiaramente la Cina. Il fatto che Trump abbia aumentato i dazi sulle importazioni cinesi dal 125% al 145% rende evidente il suo intento. Tuttavia, il piano iniziale ha anche permesso a Trump e ai suoi consiglieri, guidati dal responsabile delle politiche commerciali Peter Navarro, di colpire con dazi esorbitanti qualsiasi paese che fosse stato usato come canale per l’ingresso di merci cinesi negli Stati Uniti. Nel primo round di dazi “reciproci”, ora sospeso, la Cambogia è stata colpita con il tasso tariffario più alto dell’Asia: 49%.

Il Bangladesh, gigante della produzione tessile, è stato colpito con un’aliquota del 47%, mentre il Myanmar, devastato dal recente terremoto, è stato gravato da un dazio del 45%. Il Lesotho, il piccolo e poverissimo regno senza sbocco sul mare, quasi interamente dipendente dalle esportazioni di diamanti e abbigliamento, ha ricevuto un dazio del 50%, il più alto di tutta l’Africa. “Oh, guardate la Cambogia,” ha detto Trump alla Casa Bianca la scorsa settimana, tra le risate del pubblico di adulatori. “Hanno fatto una fortuna con gli Stati Uniti d’America.” Il cittadino cambogiano medio, però, guadagna circa 6,65 dollari al giorno, secondo i dati della Banca Mondiale, meno di un quinto della media globale.

Mentre gli USA tagliano il commercio, il mondo taglia gli aiuti

Si sta rapidamente delineando uno scenario da incubo per quei paesi che dipendono dal libero scambio – o almeno dallo status di paesi meno sviluppati e dall’accesso ai più grandi mercati mondiali – e dagli aiuti. Anche prima di questo attacco scioccante al libero commercio, le politiche di sviluppo in Occidente stavano attraversando una cupa contro-rivoluzione. Non solo gli Stati Uniti hanno chiuso l’agenzia USAID e il Regno Unito ha tagliato drasticamente gli aiuti allo sviluppo, ma anche Francia, Belgio e Paesi Bassi hanno ridotto i rispettivi bilanci.

Perfino la Germania ha messo sul tavolo tagli al proprio budget per gli aiuti. In uno scenario pessimistico, i bilanci globali per gli aiuti potrebbero essere ridotti di ben 74 miliardi di dollari solo nel 2025. Si tratta di circa il 30% dell’intera assistenza allo sviluppo internazionale (ODA), proprio in un momento in cui i paesi più poveri sono schiacciati da debiti e crisi umanitarie. Il Consenso di Washington neoliberale, che dava priorità al libero commercio e agli aiuti per chi ne aveva più bisogno, era tutt’altro che perfetto. Tuttavia, consentendo a questi paesi l’accesso ai mercati globali e fornendo aiuti umanitari fondamentali, ha portato al più grande sollevamento dalla povertà della storia. È vero che questo è avvenuto principalmente in Asia, ma anche l’Africa ne ha tratto beneficio, con l’apertura di fabbriche in Etiopia, Kenya, Lesotho e altri paesi del continente.

Il mondo senza gli Stati Uniti deve unirsi

Una volta che ci sarà maggiore chiarezza su ciò che gli Usa intendono effettivamente imporre, la domanda sarà come reagiranno questi paesi. Idealmente, tutti gli Stati colpiti dovrebbero collaborare per creare una zona a basso regime tariffario senza gli americani, in modo da garantire agli esportatori almeno una parte della domanda. Ma è più facile a dirsi che a farsi. La storia ha dimostrato che quando un attore, specialmente il più grande, erige barriere tariffarie, gli altri paesi reagiscono facendo lo stesso, portando a una spirale al ribasso in cui tutti si chiudono e impongono dazi reciproci.

Ora tutti gli occhi sono puntati sui maggiori attori: Ue, Cina e India. Questi paesi avranno il coraggio di farsi carico dell’attuale mondo globalizzato e interconnesso che ha beneficiato tutti, nonostante ciò che i fanatici del “Make America Great Again” vorrebbero farci credere? Oppure si ritireranno, chiudendosi a riccio? I paesi devono ora decidere se seguire l’esempio degli Stati Uniti e chiudersi, o agire in opposizione all’ex egemone, proprio quel paese che ha costruito l’ordine economico e politico globale. La prosperità dell’umanità dipende dalla risposta.