Vedremo se un giudice riterrà Vittorio Feltri responsabile di qualche delitto per aver dichiarato di credere «che i meridionali, in molti casi, siano inferiori». Non gli faccio un piacere riportando fedelmente la frase che lui, successivamente, nel prevedibile canaio che ne è venuto, ha rivendicato con la precisazione secondo cui i meridionali sarebbero «economicamente» inferiori. L’ha pronunciata, e tant’è: ciascuno ha il diritto di sdegnarsene; come ciascuno, al contrario, ha il diritto di prendere le parti di Feltri quando lamenta che le sue affermazioni «vengono strumentalizzate in modo indegno».

Ma se un giudice condannerà Vittorio Feltri facendo appello alla cosiddetta legge Mancino, secondo le istigazioni di alcuni parlamentari e sulla scorta dei suggerimenti in tutta fretta messi a disposizione dal presidente dell’Ordine dei giornalisti, avremo una sentenza magari legittima e tuttavia pronunciata applicando una normativa molto pericolosamente illiberale e profondamente ingiusta. Perché quella legge non punisce unicamente gli atti di discriminazione razziale o etnica, o di incitazione a commetterne: ma anche la sola diffusione di idee fondate su pretese di superiorità razziale o etnica. Idee pessime, che ripugnano a qualsiasi coscienza civile e certamente anche a quella di Vittorio Feltri, ma idee: che è giustissimo contrastare nei luoghi del dibattito pubblico, ma che è sbagliatissimo processare e condannare in un’aula di tribunale.

Peggio, poi, è che a un’altra specie di processo si voglia giungere su iniziativa dell’Ordine dei giornalisti, questo apparato di diretta derivazione fascista che ha legittimato i costumi più immondi e screditanti di una categoria – quella dei giornalisti, appunto – non solo assai poco illustre, vista la quantità di ignoranti e molto spesso pressoché analfabeti che la compongono, ma abituata a distruggere impunemente l’onore e la reputazione delle persone senza che questa pratica trovi freno nella giustizia che sistematicamente la protegge (ricordiamo che in questo caro Paese il diritto alla reputazione personale “recede”, cioè va a farsi benedire, davanti al cosiddetto diritto di cronaca).

Il giornalismo corporato, infatti, lamenta che la propria immagine sarebbe stata danneggiata dalle dichiarazioni di Vittorio Feltri, evidentemente sul presupposto che si può far parte di quell’Ordine a patto che si abbiano le idee giuste e che nel manifestarle si adottino le maniere ammesse dal giornalismo patentato.

È inutile dire che Vittorio Feltri non ha bisogno di questa difesa. Che infatti non si rivolge a lui né a quel che ha detto: ma al principio per cui in un Paese civile la libertà di esprimere un’idea non si coarta con un processo, né si subordina alle valutazioni di un burocrate che si incarica di sanzionare l’idea illegittima. Un principio cui dovrebbero tenere tutti, anche quelli che detestano Feltri di tutto cuore.