“Milano scintillava e attraeva per il suo successo, e per quello poteva anche respingere, ma ora le si vuole bene in un modo nuovo, quasi nel modo in cui si vuol bene a Napoli”. Sono parole di Adriano Sofri, scritte sabato su il Foglio con riferimento a quanto sta succedendo tra il Po e le Alpi, e sarebbe bello se fossero parole di tutti. Esprimerebbero un inedito senso di unità nazionale. Invece non è affatto così, perché la verità è che a Napoli si vuole bene ancora in modo vecchio e a Milano, indicata come sineddoche, come parte per tutta la Lombardia, non si vuole bene affatto. Vittorio Feltri, uno che annusa l’aria, lo ha capito benissimo, e perciò domenica, su Libero, è stato brutale. “Attenzione – ha scritto – a tirare troppo la corda, perché noi senza di voi campiamo alla grande, mentre voi senza di noi andate a ramengo”. Ma poi ci sono le polemiche sulla “fase 2”.

C’è De Luca che vuole blindare la Campania e c’è Zaia che difende la “forma mentis” dei veneti. E quando in politica spunta l’antropologia c’è da tremare, perché si torna a Lombroso, al peggior positivismo e alle razze maledette. Da qui l’impressione sgradevole che le cose si stiano mettendo molto male, sebbene sarebbe stato lecito aspettarsi sviluppi migliori, dal momento che ora è il Nord a piangere più del Sud e il capovolgimento delle parti avrebbe dovuto favorire la reciproca considerazione. Macché. Vista da lontano, nella migliore delle ipotesi, Napoli sorprende positivamente solo quando l’eccezione ne conferma la regola, cioè il luogo comune negativo. Succede quando Mentana titola sui buoni ospedali che ci sono anche al Sud; quando Myrta Merlino, che pure è napoletana, ripete quell’anche alla stessa maniera; quando l’inviata lombarda della Rai si dispiace in diretta perché anche al Vomero non ha potuto filmare assembramenti e sregolatezze.

Vista da lontano, invece, Milano, che era già malvista prima, quando un ministro del Sud e per il Sud l’accusava di “non restituire” il dovuto all’Italia, lo è ancora di più oggi, quando la reazione per “imparata di creanza” che il professor Gallo, dell’istituto Sacco, pretende di fare al dottor Ascierto, del Pascale, soffoca la pietà per i morti di quella città e di quella regione. Mentre il Covid-19 ancora impazza, nonostante le buone intenzioni, al netto delle cantate dai balconi e delle solidarietà da cortile, succede dunque questo. Al Nord riesce ancora difficile non sottolineare l’equivoca eccezionalità di Napoli o non minacciare di chiudere il rubinetto fiscale. E al Sud non pare vero di poter finalmente presentare il conto al Nord ricco e supponente.

Il conto di un rancore che cova dai tempi di Cavour, che da storico è diventato ideologico ai tempi di Bossi e che da ideologico è diventato assoluto ai tempi di Salvini, Fontana e Gallera. Questi ultimi individuati come i reggitori di un “sistema” (per alcuni pari a quello camorristico) capace di industrializzare e disumanizzare perfino l’assistenza sanitaria. In questo caso, torna utile un altro avverbio. A parte, Roberto Saviano che vuole processare l’intera Lombardia, il Sud si fa scudo con il tuttavia come il Nord fa con l’anche. Dice che non critica quella Regione per rivalsa, per malanimo o per compiacimento vista la disfatta leghista sul fronte ospedaliero, tuttavia… E giù il solito elenco di errori e colpe. Ma è evidente che la questione non è grammaticale. È culturale prima ancora che politica.