In questi giorni di rievocazioni mi sono rivisto un po’ di udienze del processo Cusani-Enimont, quello sulla cosiddetta maxi tangente. La cosa più impressionante era il modo in cui il giudice – peraltro una brava persona – si rivolgeva agli imputati e ai testimoni. Così: «Senta, Martelli…»; «Sama, lei che ci dice?», e simili. Come fa un sergente con il soldato semplice. Come fa il padrone con il maggiordomo. A che titolo si permetteva di rivolgersi in tal modo a quelle persone? È presto detto: quelle persone erano “cadute in basso”. E non perché avevano commesso illeciti, così guadagnandosi una riprovazione che toglieva loro il diritto di ricevere riguardo, ma “in basso” perché sottoposte al potere del processo. Ti interrogo, ti giudico, e questo implica una degradazione sufficiente a permettermi di non darti di “signore”.

Si noti che i magistrati incassano senza perplessità roba come “Eccellentissima Corte” o “Illustrissimo Signor Presidente”, certamente anche per responsabilità degli avvocati che si lasciano andare a queste disgustose manifestazioni di servilismo indegno: ma proviamo a immaginare quale reazione avrebbero se il cittadino che loro sottopongono a processo esordisse con qualcosa tipo «Senta un po’, Davigo…». Inutile precisare che mentre esistono magistrati rispettosissimi, ai quali neppure verrebbe in mente di rivolgersi all’imputato come fa il prof. con l’alunno delle medie, altri che non si fanno troppi riguardi ritengono evidentemente che si tratti di sciocchezzuole: e non avvertono il pericolo che lo stato di soggezione in cui è posto chi finisce “sotto” processo sia generalmente trattato con noncuranza.

E invece bisognerebbe che l’amministrazione della giustizia risentisse come primario l’obbligo di non degradare in nessun modo, e anzi di trattare con il massimo grado di rispetto, il cittadino affidato alle cure giudiziarie. Perché è un “signore” qualunque cosa abbia fatto, e revocargli questo attributo rappresenta una versione solo attenuata di messa in berlina. Non è ancora come lasciare che gli lancino verdura marcia, ma condivide la medesima causa: l’idea che chi giudica sia “superiore”, stia sopra, appunto, e sotto di lui il bandito che ha perso rango civile. La medesima causa e dunque il medesimo effetto: l’imbarbarimento della società che, indifferente o compiaciuta, assiste allo scempio.