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I rescripta di Papa Francesco sottratti alla conoscenza degli imputati, quel potere incondizionato di modificare la legge

Lo svolgimento del procedimento penale è stato contrassegnato da quattro Rescripta ex Audientia Sanctissimi, concessi da Papa Francesco in via riservata al Promotore di Giustizia in un arco temporale compreso tra luglio 2019 e febbraio 2020 e resi noti alla difesa soltanto con il deposito degli atti in seguito alla richiesta di citazione a giudizio del 29 giugno 2021. Tali Rescripta, non pubblicati negli Acta Apostolicae Sedis e inizialmente sottratti alla conoscenza degli imputati, hanno stabilito una procedura penale di eccezione solo per questa causa in deroga alle previsioni del codice di procedura penale vaticano. Le richieste del Promotore di Giustizia per l’ottenimento di tali Rescripta non risultano in atti. Nel dibattimento, il Promotore ha dichiarato che si sarebbe trattato di richieste rivolte oralmente al Papa, che per i giudici e le difese non è stato quindi possibile conoscere.
Il primo Rescriptum del 2 luglio 2019 ha ampliato notevolmente le attribuzioni del Promotore di Giustizia, stabilendo che egli possa procedere “nelle forme del rito sommario sino alla conclusione delle indagini stesse. Con facoltà di adottare direttamente, ove necessario, in deroga alle vigenti disposizioni, qualunque tipo di provvedimento anche di natura cautelare”. Sulla base di tale Rescriptum, il 5 giugno 2020 il Promotore di Giustizia ha emesso in modo del tutto inaspettato e imprevedibile un mandato di cattura nei confronti di un imputato presentatosi per un interrogatorio, il quale, una volta in vinculis, ha reso dichiarazioni (dichiarate non utilizzabili erga alios dal Tribunale, non essendosi tale imputato sottoposto all’interrogatorio nel dibattimento) e ha consegnato il proprio telefono cellulare e altri documenti, utilizzati dal Tribunale per condannare il medesimo e altri imputati. Il secondo Rescriptum risale al 5 luglio 2019 e ha conferito al Promotore di Giustizia penetranti poteri istruttori non contemplati nel codice di procedura penale, tra cui quello di disporre intercettazioni di ogni tipo di comunicazione. Il terzo Rescriptum è del 9 ottobre 2019 ed esclude che al Promotore di Giustizia sia opponibile alcun vincolo di segretezza da qualsivoglia autorità in relazione ai documenti da lui sequestrati nel corso delle indagini. Il quarto Rescriptum è del 13 febbraio 2020 e con esso si prorogano le intercettazioni telefoniche già consentite con il Rescriptum del 5 luglio 2019.
A fronte delle reiterate eccezioni delle difese, il Tribunale vaticano ha sostenuto che attraverso i Rescripta la “Suprema Autorità, detentrice (anche) del potere legislativo, ha disposto direttamente la disciplina normativa da applicare” in questo particolare procedimento penale e che tali “leggi emanate dal titolare del potere legislativo nello Stato” sarebbero insindacabili da chiunque in forza del principio canonistico “Prima Sedes a nemine iudicatur”. Come evidenziato anche dalla dottrina, è stata recepita e teorizzata dal Tribunale una concezione assolutista del potere sovrano che non trova più alcun riscontro negli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei rispettosi dei diritti umani. Tale concezione annulla ogni divisione o separazione dei poteri e priva i giudici di ogni indipendenza rispetto al soggetto sovrano, la cui volontà, comunque manifestata, è legge.
È stato pertanto riconosciuto alla “Suprema Autorità” il potere incondizionato di modificare ad libitum, in segreto e con riferimento alla singola causa, la disciplina legislativa a scapito dei diritti degli imputati, annullando le garanzie stabilite dalla legge persino in materia di tutela della libertà personale e della libertà di comunicazione, con sottrazione del processo all’applicazione delle norme del codice di procedura penale vaticano, in cui l’art. 350 bis prevede che “ogni imputato ha diritto ad un giudizio da svolgersi secondo le norme del presente codice”. Ciò risulta in grave contrasto con i più elementari princìpi dello stato di diritto e del giusto processo, parte integrante dello ius divinum secondo il Magistero dei Sommi Pontefici. L’anacronistica concezione fatta propria dal Tribunale, che immagina lo Stato della Città del Vaticano come uno stato assoluto stile Ancien Régime, risulta infatti ormai incompatibile con l’evoluzione dello stesso ordinamento giuridico vaticano derivante dal Magistero dei Sommi Pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, oltre che con gli impegni internazionali assunti.
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